È Rita Paola MARINI che racconta …
È proprio vero che il tempo è una medicina dell’anima. Lo scorrere delle giornate con persone che cominci a conoscer ed apprezzare, lo scandire il tempo con programmi ben precisi dà una pseudo sicurezza, il senso è che tutto questo diventa la tua “normalità” e piano piano ti ci abitui ed in qualche misura lenisce il tuo dolore. Piansi per tante e tante notti, poi ad un certo punto smisi, mi sono spesso chiesta perché e come smisi di piangere, la risposta che mi sono data è che ero cresciuta ed accettavo, finalmente, questo cambiamento.
È stato per me un cammino molto doloroso e faticoso, ma ne è valsa la pena, questo percorso mi è stato utile negli anni a venire, avevo imparato a metabolizzare il dolore e a far sì che si trasformasse in qualcosa di positivo e che mi facesse trovare un po’ di pace. Rimaneva sempre una malinconia di fondo con cui avevo imparato a convivere, di buono c’era che avevo cominciato a parlare con le mie compagne, a ridere e questo mi faceva star bene.
Ho ricordi di grandi risate, penso a quando con A. Maria, Patrizia e Danila giocavamo a carte in aula studio, con un muro di libri come barriera, la scusa era la ricerca di gruppo, sembrava che nella nostra classe a Ragioneria si facessero solo ricerche di gruppo, l’assistente ci sgamò alla ennesima ricerca fasulla e ci divise ai quattro lati dell’aula.
Ricordo le foto nel parco con le minigonne di Patrizia, lei ce le prestava per fare il servizio fotografico da top model, non mi ricordo neanche dove ci cambiassimo, credo nel parco direttamente; ci sono ‘ste minigonne che viaggiavano su dieci venti gambe diverse, tengo come reliquie quelle foto, noi siamo molto serie e prese nella parte, neanche fossimo vere fotomodelle.
Ricordo alcune passeggiate fatte con Mariannina, ricordo i suoi capelli scurissimi, il suo viso bianchissimo e gli occhi di un colore indefinibile viola/celeste, con lei ho fatto una sorta di “percorso di analisi”, le nostre paure una volta uscite dal collegio, la vita fuori e il dubbio se saremmo riuscite ad affrontarla in maniera adeguata, la figura di un padre che ci era mancato o vissuto molto poco e quanto questo vuoto avrebbe influito nelle nostre scelte future. Era bello parlare con lei, aveva questa vena malinconica che mi inteneriva molto e poi per sdrammatizzare scoppiava nella sua risata che ancora ricordo. Ricordo le provocazioni di Libia, la ammiravo per il coraggio che io non avevo di certo, era una ragazza intelligente e utilizzava queste sue “performances” per vedere la reazione delle persone, se reagivano bene era contenta per la sua riuscita, credo fosse una sua maniera un po’ contorta forse, per avere un riconoscimento esterno, un’accettazione senza mettere in campo le sue emozioni, era tutta raziocinio. Andavamo a fumare di nascosto dietro la villa e lei mi raccontava dei suoi studi sulla storia, dei libri che prendeva in biblioteca per approfondire ed analizzare l’argomento, conosceva benissimo la storia del Novecento: guerre, intrighi, strategie, io l’ascoltavo perché era un gran piacere vedere l’entusiasmo che ci metteva, certe volte doveva ripetere due volte i concetti con scarsi risultati di comprendonio da parte mia.
Ricordo le domeniche in cui non avevo voglia di uscire, mi mettevo a leggere o ad ascoltare musica, Giuliana alcune volte mi faceva compagnia, avevo parecchi L.P., Doors, Led Zeppeling, Genesis che mi facevo regalare per la Befana dell’Aeronautica nella base di Rimini. Non so se lei li ascoltasse perché era buona e remissiva, stava studiando seriamente pianoforte con il maestro Volpi e cera una certa dicotomia tra Chopin e Jim Morrison, ma lei ascoltava e chiedeva pure notizie dei gruppi … Poi ci facevamo una passeggiata lungo il viale, non c’era nessuno, un silenzio e una pace meravigliosi, ricordo quegli alberi maestosi, le siepi ben potate, la voliera del giardiniere vicino alla casa del Colonnello, il panorama di Loreto e delle colline vicine, mi piaceva tutto quel verde, quel paesaggio ancora così campestre, così poco cementificato.
Ricordo con molto affetto Suor Ippolita, essere ricoverata in infermeria era un gran piacere, la camerata aveva pochi letti, piena di luce e lei era aiutata dallo scricciolo di Ebe, era un duo meraviglioso! Il profumo dell’infermeria che non era solo odore di alcool, pomate, medicinali ecc, era un profumo che sapeva di buono, di positivo perché la sensazione che provavo era di essere a casa. Suor Ippolita era molto accogliente, era abbastanza alta, robusta al punto giusto e quando l’abbracciavi ti sentivi protetta, amata, le ho voluto molto bene. Anche quando non ero malata, molte volte, nella pausa pranzo-studio, andavo a trovarla, lei era nella sua stanza delle visite sempre con il suo uncinetto in mano per i suoi interminabili lavori, io mi portavo un libro e mi sedevo vicino e le facevo compagnia, ogni tanto mi dava una carezza, mi bastava averla vicina, la sua presenza ed il suo viso mi trasmettevano pace.
Ricordo il mio primo rientro a casa per le vacanze di Natale, erano già passati quasi tre mesi, ricordo l’emozione nel riprendere la mia valigia e riempirla delle mie cose per tornare dai miei. La notte credo che dormimmo poco; sveglia, colazione e poi tutte chi in corridoio chi in parlatorio con le valigie in mano, la corriera era già in attesa con il motore acceso, fuori era ancora buio, e quando uscimmo mi accorsi che nevicava, era un regalo del destino, io adoro la neve!!! Salii e mi misi vicino al finestrino, guardai la città che si svegliava, le prime luci, il finestrino che si appannava e che pulivo con il gomito del cappotto per vedere meglio e poi … finalmente Ancona ed il treno per Bologna che sarebbe arrivato di lì a poco.
Lo so, la consegna era un’altra, sono andata fuori tema, ma dopo un inizio molto, molto lacrimoso da libro Cuore, trovavo giusto ricordare anche le cose belle che il collegio mi ha dato, le persone che mi hanno fatto crescere e maturare, le risate, o forse … avevo bisogno di raccontare il “riscatto” di una ragazzina di dodici anni in quel lontano ottobre 1968.