È Mauro SCIASCIA che racconta …
Rivedo il Generale Mongia, Presidente dell’ONFA, in visita all’istituto, che , entrato nella nostra aula, a conclusione dello scambio di convenevoli con la maestra, chiede, rivolto alla classe, come ci troviamo, … se va tutto bene, … se c’è qualche lamentela … Io alzo la mano e lui, affabilmente: «Dimmi pure …». Nell’alzarmi in piedi colgo lo sguardo sorpreso e interrogativo delle suore che lo accompagnano, «Signor Generale, c’è una cosa che non mi piace …», «Che cosa? Cos’è che non va?» mi chiede incuriosito il Presidente mentre le suore, incredule e allarmate, si interrogano l’un l’altra scambiandosi eloquenti occhiate.
«Non è giusto che noi maschi dobbiamo portare il grembiule come le femmine!». Risata generale, mormorio di approvazione da parte degli altri maschietti della classe (le classi delle elementari erano miste), battuta scherzosa del Presidente rivelatrice di una sottile solidarietà maschile e sospiro di sollievo con sorrisi distesi delle suore ormai rassicurate.
Ho un ricordo piacevole del giorno della prima comunione; la cosa che mi è rimasta più impressa non è la celebrazione nella sua sacralità, ma la prima colazione dopo la funzione religiosa. All’epoca, prima di fare la comunione bisognava osservare il digiuno assoluto sin dalla sera precedente, e si arrivava quindi al momento della prima colazione, con un accentuato languore di stomaco; in quel giorno particolare, l’attesa fu premiata perché ci fu servita una colazione tanto eccezionale quanto inaspettata: cioccolato caldo fumante – con la possibilità di fare il bis – e dolce in quantità …! Che lusso per quell’epoca e in quel contesto!
Una mattina fummo sorpresi da un’insolita e triste processione all’interno della nostra camerata. Due suore, nel farci la sveglia, ci annunciarono che l’allieva “tal dei tali” era stata punita perché, nonostante più volte rimproverata, di notte aveva continuato a “farsela addosso nel letto” anziché alzarsi e andare in bagno. Affinché la punizione fosse di monito per tutti, subito dopo l’annuncio, accompagnata da un’istitutrice che la teneva per un braccio, fu fatta entrare la bambina, in camicia da notte e con le mutandine sporche poggiate sulla testa. Così agghindata, la poverina, esitante e mortificata, fu portata su e giù per tutta la lunghezza della camerata, passando davanti a noi che, ancora assonnati e dentro i nostri lettini, assistevamo increduli a tale umiliante passerella. Nessuno osò sghignazzare o deridere la malcapitata, ricordo solo il levarsi di un mormorio di solidale commiserazione di tutti noi bambini verso quella povera creatura,. C’era qualcosa da rivedere nei metodi educativi dell’epoca!
A volte, in primavera avanzata, quando la temperatura era gradevole e le serate piacevoli, le istitutrici, dopo cena, ci accompagnavano in una passeggiata lungo il viale che dall’istituto scende verso l’ingresso principale, passando davanti a villa Bonci. Era il periodo dell’anno in cui, nella prima oscurità (all’ora non c’era l’ora legale), tra gli alberi e le siepi danzavano molte lucciole. Ci regalavano uno spettacolo affascinante e, non poche volte, le rincorrevamo nel tentativo di prenderle al volo nonostante i richiami all’ordine da parte delle istitutrici che ci accompagnavano. Un giorno, dopo una serie di considerazioni e valutazioni di alto valore scientifico sulla luminescenza, progettammo la realizzazione di una fonte luminosa alimentata ad energia naturale rinnovabile (gli Onfini sono sempre stati un passo avanti in tutto!). Ovviamente, la fonte di energia rinnovabile era rappresentata dalle lucciole. Fu così che, dopo esserci procurata una sfera di vetro trasparente (di quelle che quando le capovolgi nevica sul paesaggio o monumento di turno), la vuotammo di tutto il suo contenuto e aspettammo l’occasione buona. Il momento non tardò ad arrivare. La prima sera in cui ci fu la passeggiata, ciascuno di noi eseguì il suo compito catturando il maggior numero possibile di lucciole con l’obiettivo di assicurare la massima potenza al dispositivo luminoso. Ricordo il nostro moderato compiacimento quando, introdotte le lucciole nella sfera, osservammo che la lampadina di nuova concezione non riusciva ad illuminare l’oscurità, ma … comunque … brillava eccome …!
Sorvolo sulla delusione e sul senso di colpa che per qualche secondo ci assalì il mattino dopo, quando ci rendemmo conto che le nostre fonti di energia, non erano affatto rinnovabili, ma … defunte.