È Paolo GIARETTA che racconta …
Giungemmo, finalmente, a Loreto dove aveva sede il collegio. Oltrepassare l’imponente cancello della nostra futura casa, che immetteva in un elegante viale, dopo il martirizzante viaggio in treno e la ripidissima salita della collina che conduceva all’istituto “Francesco Baracca”, era come arrivare in un’oasi verde in pieno deserto per un assetato carovaniere. L’elegante e ombreggiato viale si arrampicava quasi dolcemente seguendo un percorso serpeggiante e terminava in un largo piazzale, dove si affacciava un moderno e ampio edificio a forma di croce, o meglio, di aeroplano stilizzato.
Il tutto era immerso in un rigoglioso e profumato verde costituito da piante di alloro (Loreto …) e da una fitta boscaglia di sempreverdi che oggi farebbero la felicità degli ambientalisti svedesi. Era difficile farci caso (però è il riassaporare l’intenso profumo della vegetazione e di resina ciò che mi ricorda quei particolari momenti) presi come eravamo da un pianto trattenuto e da un groppo in gola che ci rendeva difficoltosa la respirazione.
Quello che seguì non mi si è impresso nella mente, a conferma che i dolori più grandi il nostro cervello li copre con un misericordioso manto di oblio, so solo che Giancarlo, disperato, urlante, preso da un dolore devastante, fece l’impossibile per non staccarsi dalle braccia dello zio; in quei momenti concitati si aggrappo con tutte le sue forze al cappotto fino a strappargli due bottoni. Per quanto mi riguarda, il mio angelo custode fece calare sulla mia mente un buio benevolo, un’amnesia confortante; di quelle ore mi rimane un fotogramma sbiadito in cui mi rivedo in compagnia del singhiozzante fratellino mentre, in piedi, da un prato esterno osserviamo perplessi, timorosi e increduli la scalinata e l’ingresso della nostra nuova grande casa e intorno a noi la luce del giorno scompare lentamente.
Di tutta la famiglia eravamo rimasti solo noi. Da quel momento, senza saperlo e privo di qualsivoglia preparazione, dovevo in qualche modo occuparmi anche di Giancarlo.
... continua con … I primi contatti nel “Baracca”