È Paolo GIARETTA che racconta …
Mi ritrovai come per magia in una classica e luminosa aula per una terza elementare maschile. Va detto, in merito, che tutta la struttura era organizzata per ospitare solo ragazze ad esclusione delle prime tre classi elementari maschili. (Solo ragazze! Il sogno di noi adolescenti brufolosi di qualche anno dopo, ma a quell’età l’interesse era minimo e puramente platonico).
Mi tornano in mente alcuni compagni di squadra per certe loro strane caratteristiche: un certo I., un bimbo magro, timido e solitario che quando piangeva … non lacrimava; un altro di nome Puzzone (di nome e di fatto), un piccolo napoletano che se la faceva sotto anche quando
camminava; un ragazzino massiccio di nome Michele M., un duro, un bulletto aggressivo proveniente da un quartiere malfamato di Bari vecchia che, prima del mio arrivo, aveva imposto la sua legge sul gruppo e si divertiva ad umiliare in tutte le maniere l’impacciato e goffo Nicola; ricordo anche l’amico e complice del capo banda un certo Antonio D’A. e un altro ancora, di cui mi sfugge il nome, che si rosicchiava le unghie fino a farsi sanguinare le dita, infine l’appena nominato Nicola tristemente noto anch’egli per la sua imbranataggine e per una caratteristica: non sapeva soffiarsi il naso. Visti così, i particolari negativi di quegli ometti di otto anni possono far sorridere, ma una frase buttata lì un giorno da un’istitutrice mi fece riflettere «Sai, quel bambino, si quello timido, quello che se ne sta spesso isolato, l’I., si lui, dicono che non sia più capace di piangere da quando gli è morto il padre …».
Ecco che a distanza di anni mi viene da pensare che probabilmente non era solo I. il compagno di scuola che inconsciamente manifestava le conseguenze di un dolore incontenibile, anche gli altri con le loro aggressività, con le loro ritrosie, con le loro manie, con le loro buffe caratteristiche esternavano in diversi modi, con varie anomalie il loro malessere, la perdita non accettata del loro genitore e la loro condizione di piccoli esseri separati e lontani dagli affetti familiari.
A rifletterci, chissà quanti, compreso chi scriva, si sono portati dietro ferite mai veramente guarite.