È Raffaele SCAPINELLI che racconta …
(tratto da “C’era una volta … in collegio”)
«Taratatàn… Taratatàn-taratatàn, taratataaa…» la marcia della Marina Militare echeggiava a tutto volume nell’ampio piazzale adiacente al moderno blocco del Collegio “Umberto Maddalena”, a San Pietro di Gorizia. Un centinaio di allievi, con divisa e copricapo in tutto simili a quelli dell’Accademia Aeronautica, marciavano impettiti al suono della musica, disposti a contatto di gomito in tante file, in testa i più piccoli e dietro i più grandi, con un fucile tenuto sulla spalla destra e l’occhio sempre attento a mantenere
l’allineamento trasversale e longitudinale. Era la voce del severo istruttore, Capitano Vespignani, amplificata e resa ancor più temibile dal megafono, a impartire uno dopo l’altro ordini che richiedevano immediata, collettiva esecuzione: at-tenti, avanti marc, perfila-dest, perfila-sinist, passo… passo, dietro front, plotone alt, fianc-arm, riposo! Una bacchettata arrivava puntuale sulle mani di chi, per pigrizia o disattenzione, non si fosse adeguato alle direttive o avesse tenuto una cadenza sbagliata.
La scena si ripeteva talora più volte la settimana, sempre con l’accompagnamento musicale.
Le marce “predilette” erano tre: quelle della Marina, dell’Aeronautica e del Principe Eugenio. In particolari cerimonie (come fu quella in onore di Amedeo d’Aosta, morto prigioniero a Nairobi il 3 marzo 1942), l’istruttore ordinava il presentat-arm e salutava portandosi la mano alla visiera. In quegli istanti i nostri cuori si riempivano dell’orgoglio di stare eseguendo un’operazione che sentivamo essere “da grandi”.
La partecipazione all’annuale festa dell’Aeronautica a Roma significava per gli allievi del Maddalena un pesante impegno, perché era prevista lungo il viale dei Fori Imperiali una parata con “passo romano”, cioè a gamba tesa: Vespignani voleva che gli allievi del Maddalena fossero i migliori, esigeva perciò la perfezione. Prove su prove, tanta fatica. A sera, e ancor più l’indomani, i muscoli degli arti inferiori erano indolenziti per l’eccessiva e ripetuta elongazione. Non a caso il ricordo delle esercitazioni a passo di marcia nel piazzale dell’istituto è quello che si è fissato in modo indelebile nella nostra mente come un incubo, da cui solo l’otto settembre del 1943 ha potuto liberarci.
La disciplina era chiaramente considerata il mezzo migliore per forgiare la nostra personalità. Tutto doveva servire a formare degli uomini temprati nel fisico e nel carattere, pronti se necessario a calarsi nel ruolo di soldati.
Sveglia mattutina alle 6.40, estate o inverno che fosse. Alle 7, dopo la pulizia personale, mezz’ora di palestra, inclusiva di salita alla fune o alla pertica ed esercizi vari, sia a corpo libero che alla spalliera svedese, spesso associati ad un numero elevato di piegamenti sulle ginocchia, per espiare scritte murali offensive dirette all’istruttore, opera di qualcuno degli allievi più grandi, regolarmente ignoto. Poi, tempo permettendo, giro di corsa lungo la pista di 400 metri ricavata nel vastissimo parco retrostante il Collegio, ai piedi di colline che furono teatro di furiosi combattimenti nella Grande Guerra. Ricordo bene come, nei mucchietti di terra sollevata dalle talpe, non fosse difficile trovare le biglie di piombo degli shrapnel austriaci. Prima di andare a scuola, alle 8, accurato rifacimento dei letti, colazione e partecipazione all’alzabandiera. Divisa “di casa”, con giubbotto e bustina.
La scuola, parificata quella interna per i più piccoli, pubblica quella esterna in città, aveva insegnanti di ottimo livello e ci teneva impegnati tutta la mattina; disegno ed aeromodellismo erano le materie complementari a me più gradite. Una parte del pomeriggio era dedicata allo studio, in apposite sale.
L’attività sportiva all’aperto faceva la parte del leone (corsa, salto in alto ed in lungo, salto con l’asta, lancio del disco e del giavellotto e altro ancora), ed era finalizzata all’agonismo: rigorosamente bandito il calcio. Gli allievi più grandi e più dotati erano ammessi annualmente ai campionati dei Ludi Juveniles o del Littorio. L’istruzione militare vera e propria, con esercitazioni di tiro col moschetto, era impartita solo ai più “anziani”, ultradiciassettenni, portatori di stellette.
… continua …
Voltarsi indietro…
È bello voltarsi indietro per guardare il tempo passato,
I ricordi aiutano a rivivere quello che il suo scorrere alle volte cancella
Gli anni passano e noi siamo cresciuti con loro lungo i sentieri della vita
alle volte anche difficili e tortuosi ma ce l’abbiamo fatta !…
Quanta gente abbiamo conosciuto e con loro condiviso momenti di noi
Il percorso della nostra vita si è arricchito di persone importanti,
loro ci hanno accompagnato tenendoci per mano con affetto
regalandoci un pò del loro tempo, donandoci anche tanta dolcezza
Apriamo lo scrigno dove abbiamo conservato le cose più importanti ,
Cerchiamo nella soffitta della nostra memoria quel che abbiamo vissuto
Immagini a volte magari un pò sbiadite ma che vivono con noi, dentro di noi
Guardare indietro significa darci una spinta per andare avanti…
vuol dire fare leva sulle cose importanti, sui valori della nostra vita
Crescendo è aumentato il nostro desiderio di cose vere tralasciando quelle effimere
Si fa largo dentro di noi la voglia di vivere ogni attimo da entusiasti protagonisti
Dobbiamo guardare avanti senza paura, con rinnovato coraggio ..
Senza aver timore di volgere indietro lo sguardo
Perché l’esperienza si fa con il tempo e con la storia, la nostra storia…