È Antonio REBOA che racconta …
Tutto iniziò con l’ordine del giorno del 12 febbraio 1943 della Direzione dell’istituto:
” D’ordine del Comando Aeroporto di Gorizia a datare dal giorno corrente e sino a nuovo ordine sono sospese le libere uscite ed il rilascio di qualsiasi permesso”.
Dopo il 25 luglio, giorno dell’arresto di Benito Mussolini, noi Allievi Militari avevamo l’ordine di girare a turno armati durante la notte.
Perlustravamo i confini dell’istituto per evitare possibili incursioni degli Slavi che abitavano nei dintorni del collegio. Agli Avieri dell’Aeroporto di Gorizia era stato dato l’ordine di dormire vestiti.
Arrivò così l’otto settembre e, con la fine del conflitto, anche l’ordine di non opporre alcuna resistenza a nessuno. Ricordo che nel tardo pomeriggio del 10 settembre, entrarono in istituto alcune donne slave che abitavano vicino al nostro collegio. Non reagimmo!
La ragazza che le guidava, la conoscevamo bene. Infatti con lei parlavamo spesso dalle finestre contigue ai nostri alloggi. Abitava vicino alle scuderie, e le chiesi cosa succedeva,e cosa volevano da noi.
Per tutta risposta, mi puntò un fucile che aveva tenuto nascosto e mi disse: «Zitto! … Portami all’armeria e poi scappa prima che sia troppo tardi».
Subito dopo, dietro di lei entrarono numerosi suoi compagni slavi e occuparono tutto l’istituto. Così come eravamo vestiti, io ero in tenuta da ginnastica, ci fu concesso di fuggire con i nostri due pullman.
Non tutti partirono con noi. Alcuni allievi che avevano le loro famiglie a Gorizia, si rifugiarono a casa con qualche compagno. Ricordo in particolare Della Rovere e Mariani. Il fratello di quest’ultimo, che aveva opposto resistenza agli Slavi, finì in una foiba.
Arrivati all’Aeroporto di Casarsa (PN), ormai abbandonato, i pullman fecero sosta. La notte dormimmo sulla paglia dentro un hangar. La mattina dopo proseguirono, con a bordo gli allievi più piccoli, alla volta di Loreto. Noi più grandi, invece, fummo lasciati al nostro destino per raggiungere le proprie famiglie.
Gli Allievi Militari tolsero le stellette dai baveri per evitare di essere fatti prigionieri dai Tedeschi. Non ci sono parole per descrivere la tragedia del ritorno alle nostre famiglie!
Eravamo mescolati con i soldati fuggiti dal fronte greco-albanese, oggetto di retate da parte dei Tedeschi. Eravamo affamati e senza soldi!
A noi che eravamo diretti a Sud, divisi in piccoli gruppi, ci salvarono i ferrovieri; ebbero l’intelligenza di farci scendere dal treno prima dei posti di blocco dei Tedeschi, e poi ci riprendevano alcuni chilometri dopo le stazioni ferroviarie. Percorremmo decine di chilometri a piedi in prossimità delle stazioni di Venezia e Bologna piene di soldati tedeschi.
Nel mio gruppo c’era mio fratello Luigi, Vito Viti e Mariano Bragardo, diretti rispettivamente a Siena, Pisa e Genova.
L’unico aiuto che ci venne dato durante il nostro percorso fu per fortuna da parte dell’ONFA di Firenze. Le “Missionarie della Scuola” che reggevano l’istituto ONFA di Loreto per i minori, e quelle dell’istituto “Duca d’Aosta” di Firenze per le ragazze grandi che frequentavano le magistrali, ci rivestirono, rifocillarono e ci dettero anche dei soldi.
Trascorremmo con loro due giorni indimenticabili pieni di affetto e cortesie. Tra l’altro, ritrovai là, mia sorella Gabriella, allieva quindicenne dell’istituto.
Riprendemmo il nostro viaggio e finalmente dopo un lungo calvario, arrivammo alle nostre case. Restai poco a Siena, e subito dopo andai a Roma, dove mi nascosi clandestino insieme ai partigiani e tanta gente sbandata.
Soffrimmo la fame fino all’arrivo delle truppe americane e polacche il 4 giugno del 1944.