È Lucio VALENTINI che racconta …
La mia non era solo una mamma, … ma la mia inseparabile compagna sempre presente accanto a me.
Anche quel giorno che arrivammo a Firenze provenienti da Brescia, per il mio primo giorno di collegio, era saldamente attaccata a me. Mi teneva stretto sotto il braccio come a volermi dire: «Tra poco ci separeremo, … ma sappi che ti starò sempre vicina».
Era il 2 ottobre 1950 quando arrivammo alla Stazione di S. Maria Novella. S’informò sul mezzo da prendere per andare a Via S. Marta 3, sede del collegio “U. Maddalena”. Il filobus ci lasciò ai piedi della salita di Via Massaia, era una giornata calda e la salita era molto faticosa.
Mamma mi trascinava sotto braccio ed io con la mano destra portavo la mia valigetta di cartone stampata a “disegno di coccodrillo” … sembrava vera ed era strana ed unica …!
Ci fermammo per una breve sosta davanti all’ingresso della NET, lo stabilimento dove veniva stampata la Nuova Enigmistica Tascabile. Era il momento della pausa pranzo e ricordo che due belle ragazze ci offrirono da bere un bicchiere di aranciata fredda … che gesto gentile …!!
Ringraziammo e dopo l’ultima faticata giungemmo in cima davanti al cancello dell’ingresso del collegio. Ormai eravamo dentro … e la mamma spesso mi guardava … per leggermi negli occhi … Erano sicuramente occhi tristi … ma cercavo in tutti i modi di nasconderli. Lentamente ci avviammo lungo il viale fatto di ghiaia, che al nostro passaggio emetteva strani rumori … quasi come a voler frenare i nostri passi. Alla fine della scalinata ricordo che si apriva una grande vetrata e, sulla parte destra, una insegna: ” O.N.F.A. – Istituto Umberto Maddalena”. Eravamo giunti a destinazione.
Nel parlatorio ci accolse il Mar.llo Spinello Vivaldi che poi divenne il mio Istitutore. Si rivolse subito a mia madre dicendo: «Dì … dì … oh! Avete una valigia di gran lusso», ma lei subito rispose: « Maresciallo la tocchi … è di cartone …! » e si fece una risata.
Ci accompagnò al piano sottostante dove c’era il guardaroba. Mentre mi svestivo dei miei “panni borghesi”, mamma, aiutata da una guardarobiera gentilissima, la signora Fedora, cuciva sulla mia biancheria intima il codice distintivo di colore rosso. Avevo indossato la divisa interna, composta da pantaloncini corti ruvidi, camicia grigio-azzurra e maglione pesante blu di taglia abbondante.
Già dai primi passi, capii che quanto prima mi si sarebbero arrossate le gambe dalla parte interna, ma mi dissero subito che in infermeria mi avrebbero spalmato una pomata. La mamma si prese subito un appunto per portarmi alla prima visita una crema adatta.
Restammo ancora un po’ in parlatorio fino a quando non mi chiamarono per il pranzo.
Mamma aveva le lacrime che copiose scendevano giù per il viso, … io resistetti … anche se con gli occhi lucidi. Ci abbracciammo e lei, andando via, mi disse: « Lucio, stai tranquillo … la mamma verrà a trovarti … almeno ogni quindici giorni! » … E così fu.
Mi assegnarono alla 5ª squadra e qui fraternizzai subito con: Genovese, Ardu, Ponticelli, Resta, Mura … e tanti altri il cui elenco sarebbe troppo lungo. Frequentavamo la stessa scuola ed eravamo inseparabili.
La mamma aveva mantenuto la sua parola, ogni quindici giorni veniva puntualmente a trovarmi. Ricordo che prendeva una stanza in affitto in una pensione a trascorrevamo insieme il sabato e la domenica. spesso ci faceva compagnia l’amico Nicola Genovese che si era molto affezionato alla mamma e la chiamava ‘mamma Gemma”. La sua era molto lontana in sicilia, e purtroppo solo saltuariamente poteva affrontare un viaggio così lungo. Comunque le due mamme si erano incontrate a Firenze ed avevano “maternizzato”.
Con l’andar del tempo il collegio diventò la mia seconda famiglia, e non ho mai avuto alcun rimpianto, … anzi tanti bei ricordi … come … quello del contadino.
Al di là del muro di confine del collegio, c’era un campo di proprietà di un anziano contadino molto geloso delle sue piante di frutta.
Un giorno insieme al compagno Menon, andammo di nascosto verso l’imbrunire a rubare albicocche e prugne.
Poco dopo fummo raggiunti da una pioggia di sassate lanciate dal contadino che si era appostato dietro il muro.
Scappammo di corsa, … fortunatamente … incolumi, con uno scarso bottino. Lo vuotammo sulla mia branda della camerata, ma purtroppo risultarono … frutti acerbi …!