È Maurizio GUIDI che racconta …
Del viaggio ricordo la via Aurelia. Sulla destra le Alpi Apuane macchiate di bianco come neve ma che scoprirò essere marmo, a sinistra il mare e le cabine di Forte dei Marmi, le stesse che mi torneranno alla mente alcuni mesi più tardi nel disegno realizzato per l’esame di quinta elementare.
La “Fiat 1100” corre tranquilla e anche noi, io, mia madre, mio zio e mia zia godiamo le comodità della nuova automobile. So di andare in collegio a La Spezia, mia madre mi aveva preparato, mesi di preparazione, era stata convinta da suo cognato di Firenze, convinta dall’associazione Aeronautica, convinta dai parenti più stretti, convinta da un commerciante di Spezia che periodicamente veniva con la Lambretta, non so come facesse, a ritirare scatoloni di sandali e ciabatte fabbricate da mio zio nel nascente calzaturificio. Poi aveva convinto me, scrivemmo una lettera, in gran parte parole mie e anche la firma, al Presidente dell’Associazione Arma Aeronautica di Firenze che rispose con eccezionale grazia allegando addirittura una piccola somma da spendere nel “più bel libro che avessi desiderato”. Tutto si svolgeva come un atto di appropriazione del futuro, del mio futuro, una corsa alla quale si doveva partecipare.
Arrivati a Cadimare, sede del collegio, veniamo indirizzati alla palazzina alloggi. Il guardaroba è affollato, qualcuno cerca di fare un po’ di ordine, le guardarobiere scambiano divise con mutande e calzini, tutto rigorosamente numerato. Ecco, il numero, “Guidi Maurizio n° 31”. Mia madre aveva passato intere serate a cucire tutti quei numerini che erano arrivati dal collegio e che dovevano comparire su tutti i capi di abbigliamento, ora è arrivato il momento di indossarli quei numeri.
Mio zio di Firenze, fratello del babbo, si era raccomandato di cercare, una volta arrivati a Cadimare, un certo Maresciallo che aveva conosciuto all’agenzia degli autobus, in piazza Santa Maria Novella ma, come fare, in tutta quella confusione, tra la fila, le valigie, e la preoccupazione di non conoscere l’iter della giornata.
<<Silenzio! Per favore. Chi risponde all’appello deve avvicinarsi all’ingresso dal Maresciallo Santacesaria>> dice qualcuno al di là del banco.
<<Santacesaria? È lui.>> mia madre scatta, portandomi dietro, verso la porta e quasi lo aggredisce forse spiegandosi nemmeno troppo chiaramente al che il militare la rassicura di trovarsi nel posto giusto e deve mettersi in fila finché non arriverà il suo turno. Non facciamo in tempo a manifestare la nostra perplessità e delusione che il Maresciallo torna indietro e si rivolge a noi sorridendo <<Guidi? Allora tu sei Mauri-
zio>> indicandomi. Si scusa dandoci il benvenuto ed alcune spiegazioni, avremmo avuto tempo per vederci con più calma, era stato collega di mio padre, a Peretola, quando successe l’incidente.
Passano pochi minuti e anche io vengo chiamato dall’appello, questa volta riferimento è il M.llo Grassellini. Più giovane, grassottello che sembra fare il paio con il cognome, pettinatura scolpita a colpi di brillantina e ci indica, man mano che arriviamo, di metterci in riga fuori dalla porta. Usciti, proseguiamo marciando, si fa per dire perché non avevo la minima idea di cosa volesse dire “unò-duè, unò-duè”, e ci dirigiamo verso la così detta Palazzina Studi. Non ho mai capito il senso di questa missione, fatto sta che arrivati in un corridoio buio ma che sa di pulito, appena schiarito dalla luce di una finestra là in fondo, ci fermiamo davanti a quella che sarà la nostra classe, ma a un certo punto il Maresciallo si mette a sgridare ad altissima voce un coetaneo, non so cosa avesse combinato, capisco poi che si tratta di una vecchia conoscenza, è sicuramente un veterano. Mi viene da pensare male ma cambierò subito l’impressione che avevo avuto, feci presto ad apprezzare Grassellini, era un bravo Istitutore e rimasi colpito e commosso per l’accoglienza che mi riservò quindici anni dopo quando tornai a Cadimare per la prima volta da quando me ne ero andato.
Dopo la palazzina, il campo sportivo, poi il momento di salutare i miei accompagnatori. Mia madre è piuttosto fredda ma immagino come si senta dentro, mia zia unisce la voce rotta a due occhi lucidi che lasciano cadere qualche lacrima e mio zio un tenue sorriso che pare dire: <<È il posto giusto, il tuo futuro, torniamo presto a trovarti>>. Io, in quanto a emozione, sono in sintonia con la mamma, più tardi arriverà la nostalgia e sarà lievemente spalmata nei cinque anni di permanenza in collegio.