È Paolo GIARETTA che racconta …
Era l’epoca in cui la disciplina e le norme applicate nell’istituto “U. Maddalena” a Cadimare erano alquanto severe.
Un’educazione para-militare che applicata a bambini e ragazzi in fase di sviluppo poteva essere, in una certa misura, condizionante. Un bel campo di ricerca per psicologi o analisti!
Sto un po’ ironizzando, talvolta i ricordi gonfiano certi episodi, talaltra tendono a smussare gli spigoli. Dobbiamo ammettere, però, che per certi versi e osservati col senno del poi, noi tutti crescemmo in fretta, sfiorando solo in parte i periodi infantili e adolescenziali. Come già accennato, l’educazione rigorosa (certamente non Montessoriana, ma a suo modo rudemente affettuosa ed efficace), l’uniforme, gli educatori/Istitutori militari, lo sport praticato con molta intensità. Il confronto quotidiano con problemi che nessun genitore poteva risolvere, tutto questo, dicevo, ci rese, in un certo qual modo, sufficientemente scaltri e con una visione auto-ironica, sarcastica e semi distaccata degli accadimenti.
In quella comunità ricevemmo un imprinting fatto di vicende, gioie, dolori, insomma di fatti vissuti insieme e condivisi che furono il cemento di solide amicizie e di una forma di speciale affratellamento. Insomma, fummo ragazzi che assorbirono nel profondo esperienze non comuni ai loro coetanei, e che mi hanno portato a coniare una nuova definizione: “fratelli di caffellatte” … (giusto per non cadere nel convenzionale).
Sono termini intrisi, oltre di quella gustosa miscela (anche e ovviamente), di ironia, ma che hanno un loro significato. È un significato che deriva da una consolidata consuetudine che coinvolgeva in certe occasioni i ritardatari alla colazione del mattino. Ma attenzione, il ritardo era nella misura di pochi minuti rispetto all’orario previsto, mi sembra di ricordare alle 7:30, ma il nostro Cap. Felisso era inflessibile nell’impedirci l’ingresso in mensa.
Gli sfortunati protagonisti (tra i quali, talvolta lo scrivente) accettarono con rassegnazione il provvedimento … la prima, … forse la seconda volta, dopo di ché si mise in moto quella che senza facile enfasi definirei la “catena della solidarietà”. Ovvero una forma di distribuzione “open air”, nella quale alcuni amici s’improvvisavano baristi e dalle finestre del locale mensa (al piano rialzato) passavano tazze di caffellatte secondo le svariate richieste dei “clienti”…
<<Beppe, a me più caffè che latte … aho! Me stai a sentì!?>> … <<Aggiungi un po’ di zucchero e tanto pane …>> <<No, no, … lo sai che mi piace solo il latte!!>> … <<Gigi, datti una smossa che tra un po’ c’è l’adunata!>>
Tutto (ovviamente) all’insaputa del cerbero che bloccava l’ingresso.
Rito che venne ripetuto più volte con l’aggiunta di una necessaria commediola, recitata con commovente impegno da coloro che sforavano l’orario, e volti delusi davanti alla fermezza teutonica dell’Ufficiale, a cui seguiva l’operazione “bar dalle finestre.”