È Giuseppe LEMBO che racconta …
(tratto da “C’era una volta … in collegio”)
<<Ma dove sono capitato?>> pensai in quella mattina grigia e piovosa di fine settembre del 1975 quando, appena arrivato alla stazione ferroviaria di La Spezia, mi trovai alla fermata del bus n° 11, davanti a quell’orribile ed interminabile muro grigio di viale Nicolò Fieschi.
<<È un bel posto in riva al mare e vedrai che ti troverai bene! E poi ci sono tanti ragazzi e ti divertirai molto! Farai molto sport! Ecc. … >> così cercarono di convincermi ad andare all’O.N.F.A. gli straordinari e affettuosi colleghi di mio padre appena rimasi orfano.
Ebbene sì, quella lunghissima recinzione di massi e cemento dell’arsenale militare, da quell’attimo rimase per me un vero e proprio incubo, non solo per avermi impedito di vedere sin dal primo momento quel mare tanto osannato, ma anche perché, da “esterno”, ho continuato a incontrarla tutte le mattine nei successivi cinque anni scolastici, lungo il tragitto Cadimare – Spezia, sempre lì, prepotente e imperterrita come la recinzione di un lager nazista.
Come mi sarebbe piaciuto tanto visitare, anche una sola volta, una di quelle navi militari che si vedevano passare nel “Golfo dei Poeti”, ma pazienza, mi dovetti accontentare di osservarle da lontano, attraccate al molo di Marola.
Arrivato a “Cadamà”, solo alla vista di tutto quel verde, di quel bel campo di calcio e dell’altrettanto allettante campo da tennis in tartan (mio sport preferito insieme al basket) mi rassicurai, pensando che in fondo quella struttura militare era tanto simile all’oratorio di Sant’Agata (magari un po’ più grande) che frequentavo al mio paese. Fui uno dei primi ad arrivare in collegio quella mattina e vidi perciò pochissimi ragazzi in giro, fra questi una “matricola” come me, Raffaele, anche lui triste e spaesato, col quale poi strinsi una forte e duratura amicizia.
Ricordo benissimo il benvenuto dell’allora Maggiore Patrizi nel suo ufficio, che con le sue rassicurazioni un po’ spartane disse a mia madre: “Signora non si preoccupi, qui i ragazzi stanno bene e sono molto seguiti dagli Istitutori, ma devo dirle che le scuole purtroppo sono un po’ dure, quindi se suo figlio dovesse perdere un anno scolastico sarebbe quasi normale, ci sono molti ragazzi ripetenti …”. Purtroppo, qualche giorno dopo, quella velata profezia divenne una vera a propria sentenza, allorché il simpatico “maestro” Giovando, noto per portare “sfortuna” agli allievi con le sue sballate previsioni scolastiche, mi disse: “Sei un bravo ragazzo: vedrai che quest’anno ce la fai …”. Così, forte di quella malcapitata profezia, anch’io a metà giugno 1975 rimpinguai la folta lista dei ripetenti dell’istituto “U. Maddalena”.
Devo dire però, in tutta sincerità, che in fondo quell’anno in più trascorso in collegio non mi è pesato più di tanto, forse perché appartenuto alla generazione di allievi che ha vissuto in un ambiente militare sicuramente più confortevole di quello degli anni precedenti, grazie a tante novità. La prima in assoluto è stata, sin dal 1975, l’abolizione del cosiddetto “nonnismo”, sparito grazie all’intervento di alcuni ragazzi molto maturi e coscienziosi (primi fra tutti Domenico Arruzzolo e il buon Sergio Gaudenzio, detto non a caso “il Papa”), che convinsero civilmente gli ultimi “nonni” a finirla con le loro angherie sui neoarrivati, i più piccoli e i più deboli.
Un’altra bella novità fu la sostituzione del classico mobilio da caserma (armadietti metallici, le tipiche brande impilabili da truppa e i materassi tipo pagliericcio detti anche “cubi”) con i più moderni e comodi armadi di legno e i letti con i materassi a molle, peraltro ancora oggi in dotazione presso tutte le strutture militari. Ogni posto letto, inoltre, venne dotato di scrivania e libreria individuale, tali da consentire a chi lo volesse di studiare comodamente nelle camerate anche fino a tarda ora.
Ci vorrebbe molto più tempo per descrivere i ricordi del mio periodo onfino, ma queste sono le principali emozioni che sento di raccontare e, anche se sono passati trentatré anni dal mio ultimo giorno passato a Cadimare, devo pur sempre riconoscere che è stata una bella lezione di vita. Ho trascorso al “Maddalena” cinque anni della mia adolescenza in armonia e spensieratezza con tanti ragazzi che poi, un po’ alla volta, sono diventati tutti fratelli. Bastava una parola, una piccola frase o un semplice modo di dire (spesso in dialetto romanesco) per far scaturire in noi fragorose risate, per non parlare poi delle “marachelle” tipiche di quell’età giovanile.
Oggi sento di avere ancora molti “fratelli onfini” in giro per l’Italia e grazie ai periodici raduni ma anche a Facebook, dopo un ventennio di “buio” in cui tutti eravamo più o meno presi dalle nostre nuove famiglie, i contatti sono ripresi con una certa regolarità ed è bello sentirsi ancora. Vorrei però chiudere questo mio piccolo racconto dedicandolo a tutti i nostri papà aviatori, che ci hanno lasciati troppo presto, e ringraziando anche l’Aeronautica Militare, la nostra “Grande Mamma”, che grazie all’O.N.F.A. ha consentito alla maggior parte di noi di crearsi un futuro dignitoso in questa società.