È Nicola GENOVESE che racconta …
Purtroppo per il trio PEN (Piero Ponticelli, Ennio Ardu, Nicola Genovese), la nuova residenza li ospitò solo per un anno. L’anno successivo furono mandati alla caserma Fiastri a Muggiano insieme agli Allievi Militari.
Durante il periodo “d’oro” di Cadimare ne avevano combinate tante. Se ne ricordava bene il Colonnello Torazzi!!
La più clamorosa era stata quando i tre, insieme a Lucio Valentini, avevano deciso di imparare a guidare. Nell’autoreparto c’erano molti mezzi, tutti aperti con la chiave appesa al quadro. Era una disposizione di sicurezza in caso d’incendio.
Una sera, dopo il silenzio, si avvicinarono all’autoreparto. Tutti erano impegnati a vedere alla televisione un incontro di calcio della nostra nazionale.
Genovese con la jeep, Ardu con l’autoambulanza, Valentini con un pulmino e Ponticelli con il “Fiat 1100” del Comandante. A luci spente, con i motori al minimo percorrevano i viali adiacenti alle palazzine.
Ad un tratto la “Fiat 1100” andò a sbattere contro l’auto privata del Col. Torazzi che stava rientrando da La Spezia con la moglie dopo uno spettacolo teatrale.
Successe il finimondo!!! Che putiferio!!!
Tutte le luci delle palazzine si accesero, dalle finestre si affacciarono allievi e Sottufficiali.
I fari dell’autoreparto illuminarono a giorno tutta la zona.
Le urla e le imprecazioni del Col. Torazzi si sentivano per tutto il collegio.
Naturalmente fummo puniti severamente con trenta giorni di CPR (camera di punizione di rigore) senza coperte.
Il nostro giaciglio era il tavolaccio.
Il giorno più sacrificato era la domenica.
Rinunziare all’unico giorno di libera uscita era veramente duro.
Riuscimmo con un temperino multiuso, tipo quello svizzero, a scardinare dalla parte interna il braccio di ferro di chiusura della porta (la traccia la chiudemmo temporaneamente con della plastichina bianca uguale al colore del muro).
Bastava farlo scorrere dalla parte interna e la porta si apriva. Dalla parte esterna tutto rimaneva intatto.
Nel pomeriggio, quando il Maresciallo di turno andava a riposare, scavalcavamo il muro di cinta dietro l’infermeria e andavano a Fezzano o Portovenere a trascorrere alcune ore in allegria.
L’ultima domenica di punizione facemmo gli spavaldi.
Ci eravamo recati nella piazzetta di Cadimare e ci eravamo seduti fuori al bar a consumare una bibita.
Da lontano scorgemmo il Maresciallo Mannucci, il nostro carceriere, che veniva a prendere un caffè. Nel vederlo ci calammo la bustina sugli occhi per non farci riconoscere.
Quando giunse vicino, ci disse: <<Ma che fate … non salutate?>>
A quel punto fummo costretti ad alzarci, sistemare la bustina e salutare.
Subito a voce alta esclamò: <<Come avete fatto ad uscire? … mascalzoni!! … Siete sempre i soliti>>.
Avendo sempre avuto con lui un buon rapporto, lo presi in disparte e gli dissi: <<Maresciallo, come può vedere Ardu è molto pallido, non si è sentito bene e aveva bisogno di un po’ d’aria e una bibita per tirarsi su. Chiuda un occhio! … Faccia un’opera buona, tanto ormai il periodo di punizione è finito>>.
Lui si convinse e ci riaccompagnò in cella. Non gli sarebbe convenuto darci una nuova punizione, ci avrebbe rimesso del suo prestigio.