È Paolo GIARETTA che racconta …
Le fughe all’esterno: ecco un fenomeno di cui molti di noi interni sentivano la necessità, quasi fosse un rito propiziatorio che avrebbe segnato il passaggio da una condizione di subalternità a una condizione di “individuo libero”.
Ecco che l’allievo buono e tranquillo, qual ero io, (è in parte la mia natura, e così ero visto), si dilettava ad uscire ed entrare a piacimento e quasi indisturbato dalla recinzione metallico-muraria che perimetrava l’istituto “U. Maddalena”. E tutto ciò per il gusto di respirare un po’ d’aria diversa, per occhieggiare qualche bella ragazzina, per farsi un bicchiere di sciacchetrà e per il piacere di trasgredire … (il prigioniero deve sempre tentare la fuga …). Fughe necessarie per uscire da una realtà che cominciava a stargli stretta.
Uscite fatte normalmente con scavalcamenti di recinzioni seguendo complicati percorsi, allora ben conosciuti solo alla piccola comunità di evasori, sino a giungere ad un’audace provocazione con un’uscita massiccia. Quest’ultima si riferisce ad un episodio/beffa della seconda metà degli anni ‘60 che mi piace raccontare.
In quella occasione un gruppetto, composto da una quindicina di fuggitivi, tra i quali il sottoscritto, si presentò al Corpo di Guardia dell’ingresso principale marciando inquadrato agli ordini di un improvvisato caposquadra.
L’Aviere VAM di servizio, ritenendo che il tutto rientrasse nella regola, si affrettò a spalancare il cancello accennando persino ad un saluto militare, mentre i componenti del piccolo plotone, trattenendo a stento le risate, rigidi e disciplinati, cercavano di mantenere una marcia regolare per non destare sospetti. Appena fuori dalla vista, i saluti … a manico d’ombrello … si sprecarono …
Dicevo fughe necessarie con rientri rocamboleschi: in più di un’occasione le voci degli Istitutori Ledda o Dini, piuttosto che di Lombardi o il Maggiore Bologna, al di là dell’altissimo muraglione dell’ala ovest del collegio, quello, per intenderci, dietro all’infermeria, bloccarono il rientro dei “temerari dei percorsi impossibili”, quando quest’ultimi, con tecniche dolomitiche-circensi, erano prossimi allo scavalcamento con il previsto passaggio strusciato sotto il reticolato sulla sommità della barriera.
Adozione del “Piano B”: percorso di rientro subitaneamente modificato là dove un compagno meno agile o leggermente in sovrappeso li attendeva ad un “ingresso di riserva” con un paio di libri a conferma di un alibi tutt’altro che solido.
E dove, una volta sorpresi nella strada di ritorno dal “GinKo” (nome affibbiato dalla serie Diabolik a Felisso, forse per le sue tecniche di indagine sui fuggitivi), i ricercati ribadivano con convinzione di essere reduci da uno stressante pomeriggio di studio per l’interrogazione di Storia del giorno successivo, quando con tracce evidenti di muri, e sudaticci, tenevano in mano il testo di Tecnologia: … risultato? … Poco credibili e quindi cella di punizione alla caserma di Muggiano!
Mi fermo qua, gli episodi sarebbero tanti, su quel pezzo di vita vissuto ci si potrebbero girare un paio di film … (chissà, potrebbero avere un buon successo …).
Ora, pensionato e nonno, tirando le somme, mi è d’obbligo (intimamente l’ho fatto spesso) un sentito ringraziamento all’istituzione O.N.F.A., al Club che ne coltiva le memorie e a tutti coloro che con disinteressato affetto hanno contribuito a formarmi e ad inserirmi in un contesto professionale che è divenuto una seconda famiglia e una vera e propria passione: l’Aeronautica Militare.