È Renato FERRARI che racconta …
Naturalmente, io fui assegnato alla 3a squadra che, come tutte le altre, era guidata da due Istitutori, Sottufficiali che avevano fatto la guerra e stavano con noi dalla mattina alla sera alternandosi giornalmente l’uno con l’altro. Per la notte, noi piccoli eravamo affidati a una signora che aveva il suo box in un angolo della camerata; i più grandi avevano in camerata un Allievo Militare.
Gli Istitutori facevano capo a un Ufficiale che a sua volta, assieme ai colleghi addetti ad altre mansioni, rispondeva al Direttore dell’istituto che era un Colonnello.
Gli spostamenti avvenivano marciando inquadrati al comando di un allievo capo-squadra che dava gli ordini; un vice-capo aveva il compito di sostituirlo in sua assenza.
Una volta a settimana, la domenica, ogni squadra, a turno, si recava nelle docce che erano ubicate nella parte dell’edificio occupato dai seminaristi. Andavamo in pantaloncini e pantofole con l’asciugamano da bagno e poi tornavamo a vestirci in camerata; d’inverno, il corridoio da percorrere era piuttosto freddo, specialmente al ritorno dopo la doccia calda. Questa, naturalmente, era a tempo, per cui dovevi fare presto a sciacquarti il sapone perché quando finiva il tempo, l’Istitutore chiudeva comunque l’acqua.
I bagni erano adiacenti alle camerate ed erano provvisti di un numero adeguato di lavandini, gabinetti e lavabi per i piedi, ovviamente senza acqua calda.
La giornata era scandita con regolarità dalle consuete attività: sveglia alle sette, pulizia personale, sistemazione della branda dalle medie in poi (piegare lenzuola e coperte e, assieme al cuscino, metterle sopra al materasso ripiegato, in modo da formare perfettamente un cubo, in caso contrario incorrevamo in punizioni), prima colazione, e poi in aula al primo piano per l’inizio delle lezioni. A metà mattinata avevamo un intervallo di dieci minuti e alla fine delle lezioni ci aspettava la mensa per il pranzo.
La scuola, dalla 4a elementare fino alla 3a media, era interna all’istituto con insegnanti esterni che vi svolgevano i previsti programmi scolastici ministeriali.
Subito dopo il pranzo si giocava, prevalentemente a pallone, fino alle quattro, quindi ci si recava in aula per lo studio e lo svolgimento dei compiti a casa fino all’ora di cena, con un intervallo di mezz’ora.
Il refettorio si trovava al piano terreno dopo i portici dove trascorrevamo la ricreazione quando fuori pioveva. Vicino al refettorio c’erano la cucina, il magazzino viveri e le celle per le punizioni degli allievi più grandi: queste celle erano locali con un tavolaccio che di notte fungeva da giaciglio e di giorno veniva alzato in posizione verticale; in tal modo il punito era costretto a sedersi per terra. Il tavolaccio, quando abbassato in posizione orizzontale, restava leggermente in discesa dalla testa ai piedi; nella parte alta, una tavola posta di traverso fungeva da cuscino.
Dalle celle, attraverso una finestra posta in alto, si entrava in un camminamento che portava al magazzino viveri il quale, in più occasioni, fu oggetto d’incursioni con relativo saccheggio di prosciutti e mortadelle. Una volta, della mortadella fu lasciato a bella posta l’involucro esterno, … dopo il danno, anche la beffa. Naturalmente seguivano le indagini e fioccavano le punizioni.
Ritornando con la memoria al primo giorno di collegio, ricordo che, espletate le previste iniziali attività, rimasi solo e piansi a lungo fino a quando vennero a rincuorarmi altri bambini che avevano frequentato le prime tre classi a Loreto, si conoscevano tra di loro, ed erano già abituati alla vita di collegio.
Questo stato durò poco perché il secondo giorno, mentre seduto sconsolato sui gradini del porticato, in attesa di mia madre, guardavo dei bambini della mia squadra giocare a pallone in fondo al cortile, uno di loro (Angelini) si staccò dal gruppo, corse verso di me e mi chiese se sapevo giocare a pallone. Erano in numero dispari e serviva un altro giocatore: io risposi di sì, accettai immediatamente l’invito e, poiché già giocavo discretamente bene, m’inserii con facilità nel gruppo dimenticando ben presto la mia solitudine e la mia nostalgia, tanto che, tornata mia madre a trovarmi prima di ripartire, dovettero venire a chiamarmi. Appuntamento completamente dimenticato.