È Alberto Luigi CONTI che racconta …
Era la domenica del sei ottobre 1934. La mamma mi accompagnò a Gorizia nel collegio “Umberto Maddalena”, si trovava in periferia, località S. Pietro, in una grande villa ai piedi del Monte S. Marco.
Il parco di Villa Coronini (dal nome del precedente proprietario) era ampio e comprendeva: un grande prato centrale, adibito a campo di calcio, circondato da una pista di circa quattrocento metri, un campo di tennis, uno di pallavolo e un altro di pallacanestro. Una linea ferroviaria confinava con il nostro parco.
Ma non ho mai capito perché siamo andati in quel giorno ed in quella data, l’anno scolastico era già iniziato il primo ottobre. Il momento del distacco dalla mamma fu terribilmente doloroso, quando mi affidò al Comandante, il Maggiore Miglia. Fui identificato anche con un numero di matricola: il “41”, il primo di una lunga serie di numeri durante la mia lunga vita, assegnati dalla burocrazia pubblica e privata. Quella sera piansi a lungo nel letto della mia camerata.
Il giorno seguente, fui assegnato alla prima classe del Regio Ginnasio-Liceo “Vittorio Emanuele III”. La professoressa mi accolse benevolmente unitamente a tutti i ragazzi e ragazze della mia nuova classe. Accanto a me sedeva Ginevra una bionda e paffuta bambina.
La precise regole della collettività erano piuttosto rudi, ma ben accette, poiché ero sempre consapevole di ciò che dovevo fare. Eravamo suddivisi in due squadre: i piccoli nella prima, e i grandi nella seconda. alla loro guida c’era un Sottufficiale della Regia Aeronautica.
Ciò che mi colpì negativamente fu il comportamento di alcuni allievi, in particolare “romani” che parlavano in maniera sguaiata e intercalavano i loro discorsi con molte parolacce.
La mattina alle sei c’era la sveglia. Indossavamo solo le mutande, e con l’asciugamano andavamo nel locale accanto, dove erano ubicati i lavandini e i gabinetti alla turca, con porta basculante. Scorreva acqua fredda, e d’inverso freddissima!! Ricordo il Maresciallo Truppi, un meridionale attento osservatore e buon educatore, che aveva una brutta abitudine: spalancava tutte le finestre mentre ci lavavamo incurante della temperatura esterna. Ogni tanto ricorreva a una strana usanza: ci chiamava uno per volta e ci faceva mettere piegati in avanti, con le mani appoggiate sul davanzale della finestra e la schiena orizzontale; su questa passava una spugna imbevuta d’acqua gelida … cerimonia alla quale aveva dato il nome di “Spugnatura”. Forse pensava di ritemprare il corpo …!
La mattina bisognava mettere in un certo ordine lenzuola e coperte ripiegate a capo del letto, e subito dopo fare un piccolo esercizio fisico . Seguiva la colazione a mensa, e dopo aver preso la cartella, tutti sul pullman dell’Aeronautica che ci conduceva in città lasciandoci alle varie scuole che frequentavamo (Istituto Tecnico, Ginnasio e Liceo Classico, Liceo Scientifico). Stesso tragitto all’ora d’uscita.
Ci aspettava il pranzo a mensa, dove ognuno aveva il suo posto assegnato anche per la cena. Eravamo serviti al tavolo dai “famigli” ovvero personale non militare, che faceva tutti i servizi (pulizie, rifacimento letti, cambio biancheria). Ricordo in particolare: Cantarutti, un friulano grande e grosso, e Tomasello, un meridionale, che erano dei grandi lavoratori, simpatici e pazienti con noi tutti.
Dopo lo studio, che occupava una parte importante della nostra vita giornaliera, lo sport era molto sentito e praticato dalla maggior parte degli allievi. La scherma e la ginnastica in palestra non mi entusiasmavano, mentre ero molto interessato alla pallavolo e al tennis.
Nel primo anno di collegio, vissi due momenti particolari che ricordo con piacere.
Eravamo ormai nella primavera avanzata, quando l’Istitutore, nel primo pomeriggio di una bella giornata di sole mi disse di andare dal Comandante del collegio, Maggiore Miglia Ernesto. Un po’ preoccupato, mi sentii dire dal Comandante sorridente: «Devo andare a Trieste con l’automobile, vuoi farmi compagnia?». detto fatto, con grande gioia mi accomodo accanto al guidatore in una bella Lancia sportiva e via a tutta velocità (addirittura anche a cento all’ora) per la bella strada sinuosa che passa per Merna, Doberdò, Duino, Sistiana, il castello di Miramare, per arrivare proprio in piazza dell’Unità a Trieste. Ci avviammo a piedi ed entriamo nel “Caffè degli Specchi”, dove mi gusto una buonissima cioccolata calda e attendo che il Comandante sbrighi alcune sue faccende. Intanto mi guardo intorno e osservo i pochi clienti, distinti signori intenti nella lettura dei giornali che sono sostenuti da strani telaietti di legno, con manico, che peraltro avevo già visto al “Caffè Garibaldi” a Gorizia, dove si concludevano sempre le giornate della libera uscita mensile con la mamma. Al ritorno del Comandante, ripartiamo per la stessa strada e ritorniamo a casa prima che faccia buio. Per me una giornata memorabile, che però non ricordo più se l’ho raccontata in giro oppure l’ho tenuta per me.
L’altra giornata memorabile di quel primo anno capitò in settembre, quando si seppe che per la premiazione degli allievi più meritevoli sarebbe venuto addirittura il Duca d’Aosta. Ero nell’elenco dei premiandi, anzi ero il più piccolo e con la media scolastica più elevata! In effetti si trattava solo di una media di poco superiore al sette, ma tanto bastava per stabilire un primato in quel contesto. Dunque arriva il grande giorno e tutti gli allievi, in perfetta alta uniforme, siamo schierati sul campo sportivo, con i nostri rispettivi Istitutori. Ecco che dalla villa Coronini esce il corteo di Ufficiali dell’Aeronautica che accompagna l’altissimo Duca d’Aosta in divisa da Generale. Era così sorridente e gentile che mi sentii subito a mio agio, anche quando fui chiamato per ricevere direttamente da Sua Altezza le mie prime Cifre Reali (VE) d’argento, oltre alla stretta di mano per la quale ebbi l’indebito privilegio di vedere un membro della Casa Reale chinarsi verso di me. In fin dei conti, quel primo anno scolastico lontano da casa e dalla mamma non era andato male, avevo imparato tante cose e mi sarei portato dietro per tutta la vita il ricordo di quelle due meravigliose giornate.
Durante la prima vacanza estiva, dopo la promozione alla seconda ginnasiale, il prof. Marin ebbe la buona idea di regalarmi una racchetta da tennis. Con questa iniziai la mia carriera da tennista amatoriale che è durata dagli undici ai sessant’anni d’età, imparando senza maestri, guardando i più grandi e giocando con loro.