È Roberto MAGGI che racconta …
(tratto da “C’era una volta … in collegio”)
Per gli allievi del collegio che non avevano libera uscita i due paesi di Cadimare e Fezzano rappresentavano la “libertà”. Siccome gli Istitutori raramente ci portavano fuori dall’istituto, non ci restava che la fuga, anche per piacere d’avventura. Sceglievamo Fezzano perché è nascosto dalla “collinetta” mentre Cadimare è attaccato al collegio e quindi saremmo stati visibili. La collinetta altro non è che il dislivello tra l’istituto e la strada provinciale che, costeggiando il golfo di La Spezia, ha le uscite per i paesi costieri, tutti meta delle nostre fughe: Marola, Cadimare, Fezzano, Le Grazie e Portovenere, dove la provinciale termina. Si scappa dal retro della palazzina alloggi e mensa, scavalcando prima un cancello con reticolato quindi affrontando la scalata della collinetta, brevissima ma in mezzo ad alberi e rovi. Scavalcata una seconda recinzione, e attraversata la strada, siamo nella parte alta del paese di Fezzano.
Percorriamo di corsa ridendo e con vive sensazioni di gioia e libertà il carruggio che porta nella piazza. Qualcuno prova l’approccio a una ragazza, di solito a vuoto, si spendono due soldi per un panino con burro e acciughe e un gotto di vino, si gioca a boccette e si fuma una sigaretta in tre.
Siamo rientrati in collegio ma non possiamo scendere dalla collinetta perché alcuni Istitutori sono lì in basso ad aspettarci. Lo capiamo dai discorsi che fanno. Mentre eravamo assenti, hanno fatto l’appello e tre di loro hanno deciso di coglierci in flagrante, sono: Felisso, Ledda e Colluccini. <<Nascunneteve … state giù … e stat’ve zitt>> ordina Mario. <<Quant’ghe son?>> chiede Nicki <<Tre>> risponde Andrea <<Solo tre … aho … noi semo dieci>> commenta sicuro Giggi.
<<Ehi cado>> urla Ledda <<È inutile che vi nascondete, cado, scendete, cado, sennò, cado, poi …>>.
<<Giulio sta’ zitto>> lo interrompe bruscamente Felisso <<Questi li dobbiamo fregare>> poi, volto lo sguardo alla collinetta, grida: <<Ragazzi, so che siete li … o scendete, oppure siamo costretti a venirvi a prendere … vi do tempo trenta secondi … uno due …>>.
<<Ragazzi che si fa?>> chiede Antonio con un fil di voce. <<Se fa così!>> dice Paolo prendendo in mano la situazione <<Quanno Ginko finisce de contà li lasciamo avvicinà alla collinetta ed al mio VIA coprimose la testa cor maglione e giù dalla collinetta a capofitto, corremo quanto più velocemente potemo>>. <<Bella idea>>, <<Figo>>, <<Ve l’immaginate Ginko?>>, Ginko intanto conta: <<… venticinque … ventisei … ventisette>>, <<Figurate se scendono sti …>> osserva sbuffando Colluccini, <<Ventooootto … ventinoooove, allora scendete? …>>. Nonostante siano solo in tre, ne siamo sicuri, Felisso grida e ordina: <<Trentaaaa … andiamo a prenderli: due uomini con Ledda a sinistra, due a destra con Colluccini, gli altri con me …>>, Paolo che segue, come tutti noi, lo svolgersi delle manovre, dopo un po’ grida: <<VIA!>> Una valanga travolge i tre poveri Istitutori che cercano di afferrare ora l’uno ora l’altro, ma sono vani tentativi.
In breve, tutto è terminato: i tre restano a bocca asciutta. Nessuno è caduto nella rete. Chi in sala giochi, chi in camerata, chi sul campo di calcio. Tutti mischiati con gli altri compagni del collegio, che ovviamente reggono il gioco.
Con Ginko in testa i tre fanno ingresso in sala giochi (il luogo più vicino al fatto), e al biliardino ci sono Piero e Antonio che giocano, io che guardo, e altri a fare la solita confusione. <<Dove eravate, voi tre, poco fa?>> domanda Ginko con fare inquisitorio, due dita a toccare il brufolo che cronicamente gli adorna il volto. Senza smettere di giocare, né gli altri di fare casino, Antonio risponde laconico <<Qui>> mentre la pallina entra in porta e scatena un urlo corale <<GOAL!>>. E tutti ad abbracciare Antonio. Ginko vorrebbe proseguire ma sa che è inutile. O ci becca sul fatto oppure s’attacca al tram!
Da quell’episodio sono trascorsi circa trenta anni. Lo sto raccontando ai compagni di allora al consueto raduno organizzato, a Cadimare, dal “Club ex allievi dell’O.N.F.A.”. Molti dei presenti non li vedevo da anni. Come me, non pochi hanno trascorso in collegio: infanzia, pubertà, adolescenza. Anni importanti nella formazione di un giovane.
Ora siamo seduti sui muretti di fronte alla palazzina che ospitava la mensa, la sala giochi, le camerate, il guardaroba e perfino una cappella. Alle nostre spalle il campo sportivo che ci ha visto protagonisti dei celebri campionati interni, e la palazzina “Studi” – que-sti ultimi pochi e fatti male – la palestra, i laboratori, l’infermeria, la banchina del vecchio idroscalo con la gru, il G59 in mostra statica, il corpo di guardia, la statua di Umberto Maddalena. Nulla è cambiato, solo noi e gli Istitutori, ormai amici. Ci guardiamo, qualcuno è molto cambiato altri di meno, pochi hanno la sgradita sorpresa di non essere subito riconosciuti. Purtroppo, qualche caro amico ci ha lasciato. Comunque, oggi sono con noi, presenti. Per sempre.
Il raduno è finito. <<Ragazzi! Non è che ci ritroviamo tra altri venti anni?>> <<Certo che no>> <<Teniamoci in contatto per il prossimo raduno>>.
<<Papà vieni a giocare con me?>>, <<Roberto sei sordo, non senti Simone?>> urla mia moglie.
Porca miseria, stimolato dalla lettera del “Club ex Allievi O.N.F.A.”, relativa al prossimo raduno, me ne stavo assorto nei miei pensieri ricordando pezzi di vita passata negli istituti di Loreto e Cadimare. Domani chiamerò Antonio, poi sentirò anche Lino e poi Pino e poi Medoro e poi … e poi … e poi.