È Arturo PETILLO che racconta …
(tratto da “C’era una volta … in collegio”)
Sempre attento a non trovarmi in situazioni troppo rischiose, mai avrei immaginato che proprio il mio ultimo giorno di permanenza al “Maddalena” mi avrebbe comportato una così grande ansia e preoccupazione. Ho trascorso a Cadimare quasi sette anni della mia adolescenza, divisi in due periodi a causa di problemi di salute, ed ho partecipato sempre a tutte le attività previste. Ovviamente con la parola “previste”, intendo quelle ufficiali organizzate dall’istituto e quelle previste dagli allievi stessi, non autorizzate ma note a tutti. Esse vanno dalla fuga pomeridiana o serale per un cinema a Marola o per uno sciacchetrà a Fezzano sino alla gita in barca nel golfo. Qualche volta sono stato scoperto ed ho subito la giusta punizione, in compagnia di altri o da solo, ma la gran parte delle suddette attività si sono svolte con successo e senza danni per persone o cose. Ma non quel giorno di cui vi dirò.
Eravamo giunti alla fine dell’anno scolastico, tutte le classi erano rientrate a casa tranne la nostra perché quell’anno dovevamo sostenere l’esame di stato. Ricordo che rimasero anche due o tre esterni nelle nostre stesse condizioni. Ci sentivamo molto coccolati, tutta la struttura dell’istituto era a nostra disposizione così come tutto il personale. Inoltre per lasciarci sereni, a causa del futuro impegno, nessuno ci diceva nulla ma ci sorvegliavano amorevolmente come sempre senza farsi notare. Vorrei a questo punto deviare un attimo dalla mia storia per ringraziare tutto il Personale del “Maddalena” che già allora dimostrava la grande umanità e professionalità tipica del personale militare italiano (come fanno oggi i nostri contingenti all’estero nelle “Missioni di Pace”), furono per noi dei veri e premurosi papà.
Con il passare dei giorni il numero degli allievi diminuiva sensibilmente perché, dopo gli esami orali, che erano effettuati a gruppi di cinque o sei, il Direttore ci consentiva di tornare a casa dalle nostre madri. Rimanemmo alla fine solo in quattro, quali ultimi allievi a dover sostenere l’esame orale per la chiusura dell’anno scolastico 19…
La giornata era stranamente calda e afosa, cosa che capitava raramente a Cadimare, ed in noi, la consapevolezza che il bagaglio di conoscenze non poteva aumentare il giorno prima dell’esame, ci faceva sentire al massimo delle nostre possibilità. Non avevamo quindi alcuna voglia di ulteriori approfondimenti o riletture in nessuna materia e pertanto la giornata calda e la poca voglia di fare qualcosa ci fecero oziare per quasi tutto il dì. Ma nel corso della giornata, il naturale nervosismo del giorno prima degli esami iniziò lentamente a crescere e poco prima di cena raggiunse il massimo in tutti noi.
Non ricordo a chi, ma ad uno dei quattro balenò un’idea tanto inusuale quanto sciocca (con il senno di poi). Dopo cena avremmo effettuato una gara automobilistica del tipo “dragster”. Quasi un quarto di miglio lanciato, dall’infermeria all’officina percorrendo a tutta velocità il vialone principale. Dopo un rapido sopralluogo all’autoreparto furono decise le tre autovetture per la gara. La scelta cadde sulla “1100 r”, sulla “600 berlina” e sulla “600 multipla”. La linea di partenza fu stabilita con la “1100” dal lato infermeria guidata da Rodolfo, la “600” Multipla al centro guidata da Giovanni e la “600” berlina nelle mie mani al lato sinistro della strada verso il campo di calcio. Carlo decise di non partecipare alla gara quale concorrente ma assunse il ruolo di Direttore della partenza.
Rodolfo vinse la gara, Giovanni arrivò secondo ed io non arrivai mai. La partenza improvvisa della “1100” causò una lieve deviazione della macchina della corsia centrale che mi consentì di correre normalmente solo fino all’inizio della palazzina alloggi. Dopodiché, sentendomi stringere, iniziai a deviare verso il campo di calcio e valutando di non voler scendere con la macchina dalle scale decisi che il muretto mi avrebbe fermato. Il muretto mi fermò, per fortuna, e la parte anteriore sinistra della “600” si accartocciò come cartone. Ricoverammo i mezzi nella loro posizione originale in autoreparto quasi sperando che nulla trapelasse e nessuno notasse il mio disastro.
La notte passò relativamente tranquilla, a parte la mia ansia e preoccupazione. La mattina seguente partecipammo alle interrogazioni dell’esame e solo dopo aver terminato tutti e quattro, fummo convocati nell’ufficio del Direttore. Egli come al solito sapeva tutto, sin dalla sera prima prontamente informato dall’Ufficiale “di sciarpa”. Si congratulò con tutti per gli esami e poi ci disse che l’incidente sarebbe stato risolto con l’addebito del danno ma senza alcun intervento disciplinare. Confessai. Tutti partirono tranne me. Il giorno dopo con un Maresciallo dell’autoreparto mi recai da un carrozziere in città per avere un preventivo dei danni.
Dopo alcuni mesi, arrivò a casa un addebito a mio carico di 45.000 lire che rimborsai con l’aiuto dei miei fratelli per evitare di informare la mamma. (I nomi degli allievi citati sono frutto di fantasia)