È Renato FERRARI che racconta …
Ricordo che un giorno, a Piazza S.Marco, sul pullman, in attesa degli altri allievi che tornavano da scuola, un compagno insistette tanto per farmi provare una sigaretta: fu un disastro -per mia fortuna- mi girò la testa e dovetti sdraiarmi sui sedili.
In quanto alunni della scuola partecipavamo alle gare giovanili di atletica e a tutte le iniziative della vita scolastica, compresi gli scioperi.
Ricordo che nell’anno dell’invasione dell’Ungheria da parte dei Russi, ci fu sciopero e, approfittando dell’occasione, andammo tutti a giocare a biliardo e a boccette: improvvisamente comparve sulla porta del locale il Primo Aviere Giulio Ledda, inviato sul posto dai nostri superiori avvisati dal preside della scuola. Ci riportò in istituto. Ogni pomeriggio feriale, durante la ricreazione, desideravamo tutti giocare a pallone; l’orario della ricreazione era lo stesso per tutti,
ma il campo di calcio era uno soltanto e quindi bisognava mettersi d’accordo; c’era un piccolo particolare: noi grandi – ormai ero grande anch’io – avevamo una sorta di diritto di precedenza, non scritto ma rispettato, e quindi il campo di calcio era nostro e giocavamo ogni giorno. La domenica si svolgevano i tornei interni fra le squadre dei più grandi, quelli delle scuole superiori; le partite erano seguite con passione da tutti, non solo da parte degli allievi grandi e piccoli, ma anche del personale dell’istituto che, distribuito nei due schieramenti di sostenitori, partecipava attivamente al tifo per l’una e per l’altra squadra. Furono giocate anche alcune partite (vinte da noi) con i seminaristi che, ricordo, se la cavavano abbastanza bene.
Ogni tanto arrivavano alla Direzione dell’istituto le lamentele del contadino proprietario dei terreni intorno al collegio, che non riusciva a raccogliere le susine perché, diceva, gli allievi le rubavano tutte quando erano ancora acerbe.
Ricordo ancora le marce di addestramento in preparazione delle sfilate che ogni anno facevamo in occasione dell’anniversario della fondazione dell’Aeronautica e della festa della Madonna di Loreto, alla presenza del Generale Presidente dell’O.N.F.A. che veniva in visita da Roma.
Durante le marce, con il freddo che faceva a Firenze, il ruvido orlo dei pantaloncini corti, sfregando sulla intirizzita pelle all’interno delle cosce, provocava dei forti arrossamenti che diventavano vere piaghe dolorose per le quali si rendeva necessaria una visita in infermeria, dove ci veniva applicato un po’ d’olio di vasellina che leniva leggermente e temporaneamente il dolore dandoci un po’ di sollievo. Nei giorni successivi capitava spesso di vedere ragazzini camminare a gambe allargate nel goffo tentativo di evitare il doloroso contatto con l’orlo dei pantaloncini.
Per quanto riguarda il cibo, ricordo che la quantità era sufficiente anche perché ci servivano sempre pasta in abbondanza e, per secondo, polpette o spezzatino (spesso poco allettanti) e il formaggino giallo della Pontificia Opera Assistenza.
Poiché la mattina a colazione, insieme al latte, ci davano, a volontà, marmellata in confezioni quadrate, quasi tutti noi nascondevamo le marmellate sotto il ripiano dei tavoli in corrispondenza di una rientranza, per poi poterle mangiare a pranzo con il pane. Io fui particolarmente fortunato grazie alla solidarietà, sia pure indiretta, tra paesani. In cucina, uno dei cuochi, Mario De Rosa, sposato e senza figli, era amico di una nostra paesana (compagna di mia madre al tempo della scuola elementare) che abitava nel suo stesso paese, Lastra a Signa; il “Benemerito”, durante l’intervallo delle lezioni, in tutti gli anni fino alla scuola media, mi aspettava fuori dalla cucina con un panino ripieno di carne. Gli altri ragazzi aspettavano l’arrivo del pane, cui davano l’assalto quando gli inservienti portavano le ceste in cucina.
Quando nel 1956 alla Direzione dell’istituto arrivò il Colonnello Torazzi, anch’egli sposato e senza figli, grazie al suo impegno il cibo migliorò notevolmente. Ci furono chiari segnali di svolta con novità da noi apprezzate. Un giorno interpellò Barbagallo chiedendogli un parere sulla qualità del cibo, la risposta fu netta: il cibo era scadente. Tra le innovazioni che seguirono rapidamente, è da ricordare la graditissima introduzione del “pollo domenicale”, un vero lusso per chiunque, in quel tempo.
Durante le scuole elementari, nella mia squadra c’era un compagno, Rocchi, che dormiva nella branda sopra alla mia nel letto a castello, un bel bambino con i riccioli biondi che morì per una malattia cardiaca. Di lui ho parlato spesso negli anni successivi con il fratello Dino, anche lui poi entrato in collegio a Cadimare.
Purtroppo, morì anche un altro compagno, Moracchioli, che era il portiere della nostra squadra di calcio della scuola elementare.
A quell’epoca non avevamo la radio e alcuni nostri compagni, bravi tecnicamente (fra questi il mio amico Fadel), congegnavano radio galene utilizzando scatole di saponette al cui interno montavano i componenti: le stazioni si cercavano facendo scorrere, sulla pietra, la punta di un sottile filo di ferro.
Durante tale periodo, in occasione di una partita giocata a Firenze, fu invitata in collegio la nazionale italiana di calcio, fummo tutti molto contenti; riuscii a far apporre, sul mio diario, la loro firma da alcuni giocatori, tra i quali Ferrario, stopper della nazionale e della Juventus, uno dei miei idoli. Da quel momento diventai tifoso juventino e poiché il mio cognome era quasi uguale al suo, imparai e adottai, facendola mia, la sua firma che uso tuttora.
Gli Istitutori, che ancora oggi ricordo con affetto, oltre l’amico Giulio Ledda, erano il M.llo pilota Antonini che una volta passò sul collegio con l’aereo, molto umano e affettuoso con il suo accento toscano, e il M.llo Costantini, entrambi trasferiti poi con noi a Cadimare.
Nel 1957 ci fornirono la divisa diagonale in stoffa gabardine e il cappotto di castorino.
E così passarono i sette anni a Firenze senza che cambiassero un granché i miei viaggi, ad esclusione delle locomotive a vapore (da Bovalino a Santa Eufemia Lamezia ora Lamezia Terme) sostituite dalle motrici diesel, e l’abolizione della terza classe con vetture a compartimenti fornite di sedili imbottiti più confortevoli.
Non si può immaginare l’assalto al posto in treno che c’era per le feste di Natale e di Pasqua. Il problema non era solo quello di assicurarsi un posto, ma addirittura, di riuscire a salire sul treno. Per farci prendere il treno da Roma, mio cugino e il figlio salivano sullo stesso al volo, mentre questo, in corsa, entrava nella Stazione Termini per accedere al binario di partenza, subito dopo mi facevano salire, spesso dal finestrino, quindi, dopo averci assicurato i posti a sedere, scendevano dal treno e facevano salire mia madre. In tali occasioni, durante il viaggio, era quasi impossibile transitare nei corridoi a causa della calca; alcune persone si accomodavano a sedere sulle tazze dei gabinetti (le FF.SS. li chiamavano “Ritirate”), devo dire con comprensione, perché quando qualcuno ne aveva bisogno, liberavano prontamente il posto uscendo in corridoio. Oggi stentiamo a ritenere plausibili certe situazioni che hanno dell’incredibile; purtroppo, in quegli anni, specie in prossimità del Natale, erano la norma.