È Carlo VANNONI che racconta …
Nel leggere d’eventi di guerra, di fughe dai campi di concentramento e di tante altre tristi storie – ed allo stesso tempo belle, per chi le può raccontare – mi sorge spontanea una domanda: se tutto ciò è accaduto ad uomini maturi, veri soldati spinti da una gran forza d’animo e fede nella Patria, eroi di tante battaglie che hanno riportato ferite così profonde, sia a livello fisico che psichico … Ebbene, quali saranno i traumi subiti nello stesso periodo da un bambino?
Provo a raccontarlo in prima persona perché qualcosa del genere non solo l’ho visto, ma l’ho proprio vissuto.
Abitavamo a Mogadiscio ed avendo perduto il Padre in guerra, in Africa Orientale Italiana, rimpatriai in Italia, con mia madre e mia sorella e con molti altri compatrioti nelle nostre stesse condizioni, a bordo della nave Saturnia affiancata dalla nave Vulcania.
Ci sbarcarono tutti, come profughi, a Taranto e fummo trasferiti su un treno ospedale. La Croce Rossa, attraverso i finestrini, ci riforniva di pane e d’uva. Era la prima volta che la vedevo e l’assaggiavo.
Non facemmo in tempo ad essere riforniti di altre “vettovaglie” poiché un grosso bombardamento fece sì che il treno, tra urla e fuggi fuggi generale, partisse prima del tempo, diretto a Pistoia. questo, poiché sulla nave, avendo contratto il morbillo come tanti altri bambini, era stato stabilito il nostro urgente ricovero all’ospedale di quella città.
Durante una notte, con altri profughi, riuscimmo finalmente a scappare dall’ospedale e dopo alterne vicende raggiungemmo il paese dei nonni materni. Quel paese, importante per il nodo ferroviario che vi passava, era oggetto di offensive e controffensive di entrambi i belligeranti. Qualche volta, al suono dell’allarme, ci rifugiavamo negli scantinati, con grossi e spessi muri, che sentivo dire resistenti alle bombe; qualche altra volta, quando avevamo più tempo, scappavamo fuori dal paese disperdendoci nelle campagne. Vedevamo, così numerosi aerei che riversavano il loro carico di morte. Stranamente, alla luce dei raggi della luna, quelle bombe – che vedevamo cadere – sembravano grappoli di “uva lucenti”!
Un giorno, campane e sirene suonarono contemporaneamente e, dalla finestra vedemmo nella piazza, un gran fervore. «Scappate, scappate … stanno per arrivare …». Quelle le parole che ricordo ancora così bene!
Raccolte in fretta e furia le poche cose che potevano essere utili, scendemmo anche noi in piazza, tenendoci saldamente l’un all’altro per mano, io ero l’ultimo della “cordata”, quando un plotone di soldati tedeschi passò bruscamente tra me e mia madre, separandoci.
Fui così sballottato e sospinto che mi ritrovai da solo, come un pezzetto di legno travolto dai flutti di un torrente in piena.
Le mie grida confuse, frammiste a quelle degli altri malcapitati, insieme alle nostre invocazioni erano coperte dal suono delle campane e delle sirene.
Nel pomeriggio di quel giorno, senza saperlo e senza volerlo, la folla mi trascinò fin fuori le mura del paese. Anche il cielo sembrava avercela con tutti noi … iniziò persino a piovere! Altri gruppi di persone, sparsi qua e là nelle campagne circostanti, mi chiedevano cosa facessi lì senza i miei. E tutti, in una commovente gara di solidarietà tra di loro, si sforzavano per non lasciarmi da solo. Io, naturalmente, sordo a quelle richieste , desideravo esclusivamente raggiungere i miei familiari che, però, non sapevo più dove fossero, né tanto meno le persone che mi contornavano in quel momento erano in grado di dirmelo.
Fu così che, verso l’imbrunire, raggiunsi un luogo appartato: le catacombe del paese. Ero alla ricerca di un anfratto dove passare la notte. Trovai una nicchia. Era semplicemente un loculo!
La mattina successiva, di nuovo alla ricerca di mia madre … vagai lungamente attraverso i campi. Campi che, in un secondo momento, seppi essere minati. Era freddo. Pioveva. Ed in lontananza si udiva un ripetuto crepitio di fucili e d’armi pesanti che giungevano da ogni dove.
Avevo fame. ero bagnato fradicio. intirizzito. Il giorno volgeva al suo termine e le ombre della notte avevano invaso l’orizzonte, in un’atmosfera cupa e buia. Riuscii a superare anche la seconda notte … rannicchiato sotto una quercia!
Ricordo, però, che in quella situazione, non ebbi paura. Continuai a girovagare qua e là nei dintorni del paese e, ad ogni gruppetto di persone che incontravo, non cessai di chiedere notizie della mia famiglia. Coloro che incontravo, tentavano con ogni mezzo di convincermi a restare con loro. Ma io non mi lasciavo convincere: volevo assolutamente continuare caparbiamente nelle mie ricerche, con le sole mie forze e capapcità.
… continua …