È Carlo VANNONI che racconta …
Il terzo giorno – nel tardo pomeriggio – giunsi vicino ad un lago. Un uomo mi venne incontro di corsa. Esitai un attimo, poi lo riconobbi. «Zio … zio» gli gridai … Era proprio lui! E, per me, grande fu la gioia! Pieno di premure, mi accompagnò in un casolare. Una volta giunti nelle cucine dei contadini di quella fattoria, mio zio mi fece salire al piano superiore, dove fui asciugato vicino al camino, cambiato ed eccezionalmente” rifocillato con una bella tazza di latte caldo e un tozzetto di pane, mentre raccontavo la mia storia fra le lacrime di mia madre. Gli altri erano ancora fuori nelle campagne a cercarmi nei posti più disparati. Finalmente, tutto era risolto. Con mia madre, scesi nella stalla. Quella fu la nostra casa per circa quaranta giorni. Un mucchietto di fieno come giaciglio. Un pò di latte e una patata lessa al giorno come pasto.
La stalla era piena di gente come noi e, da un lato, vi erano anche alcune mucche. Vivevamo e dormivamo insieme agli animali, come delle vere e proprie bestie. In quella situazione, non era affatto strano che quegli animali, con i loro escrementi, sporcassero senza volerlo, coloro che dormivano accanto.
Unico sorriso … amaro, s’intende, ma pur sempre sorriso, fu quello che , per paura di essere perquisiti da eventuali “estranei”, molti dei rifugiati avevano deciso di nascondere i loro miseri “tesori” (collane, anelli, braccialetti …) nella mangiatoia. Qualche giorno dopo, i proprietari di quel “bottino” si accorsero che i loro preziosi oggetti erano finiti nello stomaco delle mucche insieme al fieno!
Ricordo che, allora, quei malcapitati decisero costantemente e a turno, di rimanere di guardia fino ai successivi bisogni delle mucche, nella speranza di poter recuperare i loro beni. Non so se poi vi riuscirono.
Ricordo ancora di tre persone che andarono per i campi a cercare le patate per poterci dare da mangiare e ne ritornarono solo due, poiché una di loro era stata dilaniata da una mina!
Ricordo anche un giorno di festa, quando – non so bene come – contadino, padrone e tutti i rifugiati decisero di macellare una delle mucche. Tutti in fila indiana, potemmo così, sulla riva del lago, mangiare un po’ di carne arrostita, sulle foglie di fico che ognuno di noi aveva raccolto e teneva in mano a guisa di piatto. Fu l’unica volta che potemmo mangiare della carne!
Poi, un pomeriggio, arrivarono al casale dei soldati tedeschi che senza tanti complimenti, cominciarono a perquisire, dapprima tutti i giacigli della stalla, poi tutte le persone. Fu trovata una pistola. Credo fosse di un avvocato. I tedeschi non sentirono ragioni. Urla e grida tornarono a risuonare dappertutto. Fatto sta che quelli di sesso maschile, bambini compresi, furono strappati ai loro cari e spinti verso il muro estremo della stalla per essere fucilati.
Ricordo che mai madre – ben nascondendo il dolore, le lacrime, la disperazione, e nell’incapacità di qualsiasi tentativo di reazione – per rassicurarmi – mi disse di chiudere gli occhi e che non avrei sentito nulla, poiché lo spirito di mio Padre mi sarebbe stato vicino.
Ancora urla e grida di disperazione, mischiate a preghiere e, poi, silenzio. silenzio assoluto …! Fu in quel momento di silenzio che, quasi per miracolo, apparvero alcuni Carabinieri. Essi si misero a confabulare vivacemente con il Comandante dei tedeschi che, alla fine, insieme ai militi dell’Arma, se ne andarono via portandosi dietro l’avvocato in stato d’arresto.
Come tutti gli altri innocenti di quella faccenda, anch’io potei quindi ritornare fra le braccia dei miei cari.
Ora mi chiedo: se i cosiddetti “grandi” (cioè, gli adulti), durante quel tragico periodo della nostra storia hanno riportato dei traumi, quali sconvolgimenti psicologici possono aver subito (e continuano a subire tutt’oggi) i più piccini?
Ricordo che durante le scuole medie, un professore affermò che ero un po’ troppo chiuso, che ero troppo solitario, ed altre cose del genere…
Ringrazio Iddio, se quel genere di traumi mi hanno lasciato solo e unicamente quel tipo di reazioni.
A guerra finita, fui accolto a Loreto nell’istituto “Francesco Baracca”, riservato agli orfani degli aviatori.
Da Loreto fui condotto su un camion, assieme ad altri compagni, a Firenze, alle Cascine, dove restammo per poco tempo, fino al trasferimento nell’istituto “U. Maddalena” in Via S. Marta dove rimasi fino al 1954.
A diciassette anni, arruolato nell’Aeronautica come Allievo Militare, fui trasferito all’Aeroporto di Peretola ove rimasi fino al conseguimento della maturità classica.
Subito dopo giunse la nomina a Sottotenente di complemento e fui inviato a Roma al Ministero dell’Aeronautica, presso la 1ª Divisione Ufficiali.
Superato il concorso per diventare Ufficiale in S.P.E., fui destinato alla 46ª Aerobrigata di Pisa; dove si sarebbe poi sviluppata tutta la mia lunga carriera nell’Aeronautica Militare.