È Renato FERRARI che racconta …
Gli anni di collegio sono stati lunghi e tristi, ma alla fine belli. Tutto è cominciato a seguito della visita presso la mia famiglia di un certo Ragioniere Macrì di Ardore, appartenente all’A.N.F.M.C.A. di Reggio Calabria, che aveva chiesto nei Comuni della Provincia se c’erano orfani di guerra dell’Aeronautica, arrivando così a me.
Spiegò ai miei familiari i vantaggi che avrei avuto andando in collegio e così, direi adesso in modo lungimirante, i miei familiari capirono che per un futuro migliore era opportuno accettare l’offerta.
Fatta la domanda ed ottenuta l’ammissione, andammo a Reggio Calabria dove ci fornirono i biglietti ferroviari gratuiti per me e un accompagnatore e così per gli anni successivi fino all’età di 17 anni, quando diventai Allievo Militare.
Io e la mamma, che non era mai stata fuori di Bovalino (il mio paese di origine), partimmo per Firenze, dove si trovava il collegio, nei primi giorni di ottobre del 1951. Avevo otto anni e avevo frequentato i primi quattro giorni di scuola della 4a elementare nell’istituto scolastico nuovo, costruito a fianco alla chiesa, ancora oggi funzionante. Il treno fino a Lamezia Terme andava a carbone e le carrozze, di 3a classe, avevano i sedili di legno.
I viaggi erano un’avventura: ne avrei fatti sei l’anno con mia madre fruendo entrambi di biglietti gratis; si partiva di sera dal mio paese, portandosi da mangiare, e si viaggiava tutta la notte per arrivare a Roma la mattina successiva con la camicia nera di carbone ed il sedere piatto. Per andare a Firenze era necessario cambiare treno a Roma, dove si arrivava circa alle otto; la coincidenza per Firenze partiva solo dopo venti minuti e quindi erano continue corse da un binario all’altro della Stazione Termini per non perderla. In questo ci aiutava una nostra cugina, che si faceva trovare al binario d’arrivo con il thermos pieno di caffè-latte e i biscotti per la colazione. Quando si perdeva la coincidenza, e avveniva spesso, il treno successivo era alle dodici e trenta. Altrettanto faceva, questa cugina, quando mia madre, tornando da Firenze, doveva prendere il treno per Bovalino che partiva la sera alle nove meno dieci; per non lasciarla da sola restava con lei fino alla partenza del treno.
Quando arrivai a Firenze, c’era ad attenderci un amico di famiglia, medico originario di Bovalino, che con la sua auto giardinetta ci portò a casa sua, dove dormimmo. Il giorno dopo ci accompagnò in collegio. Mi è rimasta scolpita nella mente la colazione con i biscotti contenuti in un vaso di vetro, così come si vedevano nei negozi.
Il collegio, intitolato a “Umberto Maddalena”, si trovava in collina nella zona di Montughi, quartiere Rifredi, a via Santa Marta 3 (una strada in salita), non lontano dalla casa del medico; era un edificio a forma di “U” con siepi basse davanti e ghiaia per terra. Dietro, l’ho scoperto dopo, un grande cortile, circondato da un alto muro con un cancello. L’edificio era di proprietà dei preti che ne avevano affittato metà all’ONFA e utilizzavano l’altra metà per il loro convitto.
Venimmo accolti nell’atrio e dopo i convenevoli e le regolamentari e preliminari operazioni di accettazione, salutai mia madre che, d’accordo con gli Istitutori, sarebbe tornata a trovarmi il giorno dopo per rendere il distacco più dolce.
In precedenza, avevamo ricevuto a casa l’elenco della biancheria intima da portare e degli oggetti personali che era consentito tenere. La biancheria fu consegnata in guardaroba dove lavoravano delle signore; mi fu attribuito un numero che venne cucito su tutta la biancheria in modo da non confonderla con quella degli altri allievi, e mi fu data una divisa in miniatura dell’Aeronautica, composta da scarpe, sandali, calze, pantaloncini (solo da grande mi dettero quelli lunghi), camicia celeste, maglione per i giorni feriali e giubbetto di panno per i festivi, con cucito sulla manica sinistra lo stemma dell’istituto che noi chiamavamo formaggino per la forma triangolare che aveva. Infine, come copricapo, la bustina che andava sempre indossata durante tutti gli spostamenti.
Successivamente appresi che gli allievi erano suddivisi in squadre secondo quale scuola frequentavano: 4a e 5a elementare insieme formavano la 3a squadra, le medie costituivano la 4a squadra, le superiori di indirizzo tecnico (i cui appartenenti chiamavamo battimazza per le attività manuali previste tra le loro materie di studio) formavano la 5a squadra, i geometri e i ragionieri erano nella 6a squadra ed i liceali componevano la 7a squadra; c’era infine la squadra degli Allievi Militari che, qualunque fosse l’indirizzo scolastico, era formata dagli allievi che, compiuti i diciassette anni, si erano arruolati come militari dopo aver svolto un corso di quaranta giorni.
. . . continua . . .