È Renato FERRARI che racconta …
Non ricordo di aver avuto in seguito altri problemi di nostalgia, anche perché sapevo che ogni due – tre mesi sarei tornato a casa per le vacanze scolastiche. A scuola andavo benino tranne, naturalmente, che in italiano: nelle medie, il professore si chiamava Vannucci, era Siciliano e in prima mi interrogava sempre. In terza fui rimandato in inglese e, per non tornare a Firenze, sostenni l’esame di riparazione come privatista a Locri, superandolo.
Il gioco del pallone è stato sempre la mia valvola di scarico fino a tarda età e mi ha consentito di meglio inserirmi nei diversi contesti, in ogni periodo della mia vita.
A Firenze si giocava con un pallone di cuoio che si gonfiava attraverso un bocchettone; questo veniva poi spinto tra il cuoio e la camera d’aria attraverso una piccola fessura che si richiudeva con i lacci: naturalmente quando, giocando, colpivi di testa il pallone in quel punto, erano dolori!
Continuavo a giocare sempre meglio come terzino, appiccicato all’avversario, e facevo parte della rappresentativa della mia squadra, con la quale partecipavamo al torneo interno. Già allora fra i grandi c’erano dei campioni in erba. Il campo di calcio era pieno di sassi che ci procuravano continue escoriazioni nelle cadute, pertanto, più volte durante la ricreazione, noi interessati ci dedicavamo a togliere i sassi più grossi che spuntavano dal terreno.
La domenica mattina, dopo la già citata doccia, c’era la messa cui assistevamo in piedi, inquadrati nello schieramento. Non tutti seguivano con il dovuto raccoglimento, alcuni cercavano di far trascorrere il tempo con silenziosi scherzi di ogni tipo rivolti ai compagni più vicini. Il momento più solenne, durante il quale eravamo tutti inchiodati sugli attenti, con il pensiero rivolto ai nostri padri e la commozione nel cuore, arrivava a conclusione della celebrazione, quando veniva letta la Preghiera dell’Orfano dell’Aviatore che ascoltavamo e accompagnavamo in religioso silenzio, pregando a mente, muti, tutti insieme come un coro completamente afono.
Poi tutti a ricreazione, e quindi il pranzo domenicale, solitamente più gradito, che si concludeva con il dolce.
Poi c’era la libera uscita per gli Allievi Militari, per i più grandi e per gli allievi che avevano visite dei parenti o di amici di famiglia in possesso di delega della madre. Era il giorno più triste perché per la maggior parte di noi che venivamo da lontano non c’erano visite. Per chi restava in collegio, era un pomeriggio di ricreazione con il cinema: una sala dove veniva proiettato un film, naturalmente il più delle volte, di guerra, ed in particolare con gli aeroplani che a noi piacevano tanto.
I contatti con la famiglia erano tenuti essenzialmente tramite la corrispondenza; purtroppo qualche volta mi dimenticavo di scrivere e venivo richiamato dal Magg. Bazzea, responsabile della disciplina, che quando riceveva una telefonata da mia madre preoccupata, mi obbligava a scriverle una lettera, davanti a lui.
Al bar interno c’era Ugolini, uno sfegatato tifoso juventino (trasferito poi anche lui a La Spezia), che scommetteva con facilità, … non soldi, … ma … caramelle gommose. All’inizio di un anno scolastico, tornati in collegio, dopo l’assenza per le vacanze estive, lo ritrovammo … sempre sfegatato, ma questa volta … tifoso interista!
Dal collegio c’erano state delle fughe da parte di chi non riusciva ad adattarsi: Lombardi le aveva tentate più volte sempre ripreso dai Carabinieri; una volta era anche riuscito ad arrivare a Roma, la sua città.
Ricordo la felicità che ebbi dopo aver conosciuto i parenti di amici di famiglia, che abitavano a Firenze, ai quali mia madre concesse la delega per farmi uscire la domenica: mi portavano a casa loro a pranzo e quindi mi sembrava di stare in famiglia.
Nei sette anni di Firenze ricevetti in tutto due sole visite di amici che, di passaggio in città, ottennero il permesso di portarmi in libera uscita.
Alla fine della scuola media ci fu la scelta dell’indirizzo scolastico per la scuola superiore. Durante l’estate del 1956, arrivò a casa una comunicazione dal collegio, con la quale mi si invitava a scegliere l’indirizzo scolastico tra Geometri e Ragionieri, in quanto i posti disponibili per il liceo, sia classico che scientifico, erano esauriti e quindi, nel caso di scelta di questi, non avrei potuto tornare in istituto. Non capimmo questa limitazione e ci restai molto male perché, essendo bravo in matematica, avrei voluto iscrivermi al liceo scientifico per poi frequentare all’Università la facoltà di Ingegneria.
Seguì una riunione in famiglia durante la quale decidemmo che per un futuro migliore sarebbe stato meglio tornare in collegio a Firenze e non restare al paese. Così, chiesi l’iscrizione al primo Geometra e proseguirono i miei viaggi di andata e ritorno per Firenze.
Le scuole superiori mi erano sembrate una liberazione: ogni mattina il pullman dell’Aeronautica ci portava in città a scuola e ci veniva a riprendere alla fine delle lezioni. Il punto di fermata per noi Geometri e Ragionieri era Piazza S.Marco che distava circa quattrocento metri dalla scuola. Entrammo così in contatto con i ragazzi e le ragazze di Firenze -e principalmente con le loro famiglie- che ci introdussero nelle vita civile e sociale della città. Se c’era un’ora di buco nelle lezioni, si andava al bar a giocare a biliardo e la sensazione di chiusura del collegio sparì del tutto.
… continua …