È Luigi POLIDORI che racconta …
Era maggio inoltrato, si respirava già aria di vacanze, ma ancora c’erano da affrontare le ultime interrogazioni, quelle che per taluni decidevano se le vacanze estive sarebbero state senza pensieri, oppure rovinate dal peso di qualche libro in valigia, per gli esami di riparazione a settembre.
Le scuole, a quei tempi, non erano quelle di adesso, se eri insufficiente in una materia non c’erano i “crediti”, c’era l’esame di riparazione a settembre e i professori, per non fare la parte dei cattivoni rimandandoti con una sola materia, se in una seconda eri anche solo appena appena carente, aggiungevano pure quella e si mettevano così l’anima in pace.
Quel giorno, dopo la mensa, faceva già un gran caldo e nessuno aveva voglia né di tirare qualche calcio al pallone né dedicarsi a qualcosa d’altro che richiedesse il seppur minimo sforzo; d’altronde non si poteva neppure andare subito a studiare, ci saremmo addormentati sui libri.
All’uscita dalla mensa, discese le scale e attraversata la strada, c’era – e c’è ancora – un lungo muricciolo ombreggiato da due grandi platani. Su quel muricciolo, uno dopo l’altro, si formò un gruppetto, tanto per fare due chiacchiere prima di mettersi sui libri.
La conversazione languiva, ognuno aveva la testa altrove, non tutti, ma alcuni non potevano fare a meno di pensare alla materia in bilico, all’interrogazione ancora da affrontare, all’ultimo compito in classe. Chissà se ce la farò?!
Ad un tratto, uno del gruppo allungò un braccio indicando qualcosa con il dito, anche il resto del gruppo volse lo sguardo laddove indicava il dito, così a tutti si materializzò la scatola di cartone che era lì, abbandonata sul marciapiede. Non furono necessarie le parole, bastò quel gesto ad animare la scena. Quella scatola aveva spazzato via dalle menti i pensieri personali, focalizzando su di sé tutto l’interesse del gruppo. La scatola c’era e, per la miseria! Era anche una bella scatola e della giusta grandezza, ma per quanto bella e giusta, pur sempre una scatola vuota, senza peso; si proprio così … senza peso! Il gruppo si animò, ci fu chi corse dietro la palazzina, alla zona cucine, lì o vicino al muro di cinta, di sicuro, avrebbe trovato il necessario.
In due ben presto tornarono con aria soddisfatta, avevano in mano due mattoni ciascuno. I quattro mattoni entrarono nella scatola precisi precisi, che dire: la ciliegina sulla torta! Ora veniva il compito più delicato, individuare il posto giusto ove posizionare la scatola, né troppo in centro strada tale da destar sospetti, né troppo defilata da non essere vista con facilità e nemmeno troppo vicino al gruppetto, sarebbe stato troppo chiaro che si trattava di un’esca.
Dopo qualche breve scambio di opinioni e qualche spostamento, con soddisfazione di tutti, la scatola trovò la giusta collocazione. La situazione si faceva interessante, la noia aveva lasciato il posto all’eccitazione. L’esca era stata lanciata, ma chissà se e quando, sarebbe passato un pesce da quelle parti.
Dopo un bel po’ di tempo, quando ormai le speranze si stavano esaurendo ed era giunta l’ora di andare in aula a studiare, in lontananza, in fondo, all’altezza della centrale elettrica, vedemmo avvicinarsi qualcuno; da così lontano non si capì subito chi fosse, forse un Ufficiale o un Istitutore che ci avrebbe invitati ad andare in aula, decretando così la fine del gioco. Ma nooo! Era un allievo ed infine si riconobbe: era Mauro, il nostro compagno di classe: Mauro Rossi.
Ora speriamo che non giri subito per recarsi in aula! Fu il timore comune. Forse questa era la sua prima intenzione, ma vedendo il gruppetto, pensò bene di unirsi a noi; un buon pretesto per non andare subito in aula di studio. <<Mi raccomando ragazzi!>> disse qualcuno: <<Comportamento normalissimo, come se non l’avessimo notato … facciamo che non si insospettisca!>> Veniva verso di noi lentamente, anche a lui questo caldo quasi estivo pesava. Più si avvicinava, più il dubbio di aver messo la scatola nel punto sbagliato ci assaliva, questo dubbio diventò certezza quando passò accanto alla scatola e sembrò non notarla. <<Noooo che iella! Non l’ha vista! Eppure gli sta passando accanto!>>.
Ma, aveva fatto appena un mezzo passo oltre, che ebbe un inatteso ripensamento. Si girò facendo perno su di una gamba, stese l’altra bene indietro ed assestò un calcio “alla Charles” a quella scatola, che sembrava trovarsi lì proprio per lui e dicesse: <<Dai, che aspetti? Calciami!>>
Il calcio non la fece volare come Mauro si aspettava, non andò neanche tanto lontano, nemmeno una metrata. Con una smorfia di dolore, Mauro si rivolse verso il gruppetto che sghignazzava, imprecando:
<<A fi, a fii, a fiii de ‘na m … mmi … mmmi …>>
Mauro zagagliava un po’ quando era emozionato, figuriamoci con quel dolore! Il suo piede, con le dita che assunsero il colore dei quattro mattoni, rimase fasciato e dolorante per una quindicina di giorni. Lo scherzo era riuscito … anche troppo bene. A posteriori si convenne che sarebbe stato meglio mettere un solo mattone, con quattro lo scherzo era stato un po’ troppo pesante.