rielaborazione delle “Memorie di Nino Morisco”
Subito dopo Fezzano, proseguendo verso Portovenere, s’incontra la Baia di Panigaglia.
Il progresso, e con esso la sete di petrolio ed affini, non ha risparmiato neanche il Golfo dei Poeti entro cui si trova questa baia. A Panigaglia, verso la fine degli anni Sessanta, è stato realizzato un terminal petrolifero della Snam che ha devastato completamente l’ambiente.
Ai nostri tempi, nella prima metà degli anni Sessanta, Panigaglia era una piccola insenatura con un’acqua meravigliosamente trasparente e pulita. Per la sua vicinanza al collegio, la baia era molto apprezzata da noi allievi. Come iniziava la bella stagione, iniziavano anche le scappatelle balneari verso Panigaglia che, per la nostra assidua frequentazione, fu da noi stessi ribattezzata: “La Baia dell’Orfano”.
L’unica difficoltà era rappresentata dal fatto che per andare alla Baia dell’Orfano (ovviamente di nascosto dai superiori), dovevi uscire da dietro il cancello di Fezzano, cancello che, pensa un po’ che jella! Era ben visibile dalla palazzina Ufficiali, dove erano alloggiati alcuni Ufficiali, Comandante compreso, con le loro famiglie. Ci sarebbe stato anche un altro passaggio, il buco nella rete del muro di cinta verso la scalinata che porta alla litoranea. Ma da quella parte la strada per Panigaglia era assai più lunga; pertanto, quella uscita non veniva presa nemmeno in considerazione. Eppoi! Vuoi mettere la soddisfazione di passare sotto il naso di Marchetti o addirittura del Colonnello Torazzi senza essere visti?
Un giorno; ma non chiedetemi che giorno fosse, di sicuro una giornata molto calda, tutta la squadra in massa decise che era cosa buona e giusta andare a fare un bel bagno alla Baia dell’Orfano. Ma un conto è, se a sgattaiolare tra una siepe ed un cespuglio, si è da soli o al massimo in due o tre, tutt’altra musica se, come in tale circostanza, si è una quindicina.
Considerata la complessità, l’operazione fu pianificata con cura e condotta prendendo tutte le cautele del caso. La tattica adottata somigliava a quella vista in tanti film di guerra, quando per rientrare in trincea il soldato è obbligato ad attraversare un tratto scoperto, dove il cecchino nemico può vederlo, e proprio in quel tratto ha l’opportunità di colpirlo; per cui gli è indispensabile la copertura da parte dei compagni. Per noi, il tratto scoperto, sotto tiro del cecchino nemico, che poteva essere appostato alle finestre della palazzina Ufficiali, era rappresentato dal tratto di strada davanti al cancello, che dovevamo attraversare per poi scavalcare dal lato mare.
Quando tutti, dopo aver superato il tratto facile, fummo l’uno dietro l’altro ben nascosti dietro la siepe dalla parte del campo da tennis, il primo, velocemente attraversò il tratto scoperto e prese posizione; doveva essere lui ad autorizzare una ad una la successione delle sortite. Dalla sua posizione, senza essere visto, poteva tenere sotto controllo la palazzina Ufficiali e, quando riteneva che non ci fossero pericoli, con un cenno della mano, dare il via libera per l’attraversamento.
L’operazione si svolse rapidamente e senza inconvenienti. Quando anche l’ultimo si trovò fuori dal cancello, tutti assieme ci incamminammo verso la nostra meta. Tolti gli abiti e infilato il costume da bagno, finalmente tutti in acqua a goderci un bel bagno!
Il godimento purtroppo fu di breve durata. Dal viottolo, tra la vegetazione, vedemmo spuntare una testa bionda, quando arrivò sul pulito, sotto la testa bionda comparve una divisa e dentro la divisa c’era il Capitano Marchetti. Aveva uno sguardo severo che non prometteva niente di buono, misto però ad un sorrisetto che mal celava la soddisfazione per averci beccati in una situazione senza via di scampo.
Nino che era fuori dall’acqua, se lo trovò di fronte e prima che Marchetti potesse pronunciare parola lo apostrofò: <<Capitano è venuto anche lei a fare un bagno?>>. Marchetti in tale circostanza non dimostrò essere uomo di spirito, lo fulminò con lo sguardo e come era solito fare, non perse tempo in chiacchiere e rivolto verso i bagnanti, agitando le braccia parallele come faceva quando ci inquadrava disse: <<Su su veloci, rivestitevi e rientrate subito, io vi aspetto al cancello tra dieci minuti.>>
Se ne andò e non perse nemmeno il tempo a contarci, avrebbe fatto l’appello al nostro rientro.
Ma che jella! Nonostante tutte le precauzioni, qualcuno ci aveva visti! Provammo a indagare, ma da chi eravamo stati visti non ci fu dato sapere. Sospettammo della moglie di qualche Ufficiale, che sbirciando fuori dalla finestra avena notato movimenti strani e, tanto per non farsi gli affari suoi, aveva avvisato il marito.
La conseguenza della nostra piccola evasione fu più leggera di quello che ci aspettavamo: una sola domenica consegnati in campo.
La domenica, quando tutti andarono in libera uscita, noi ci ritrovammo sconsolati (per non usare un’altro aggettivo) in collegio a scontare la punizione. Ma non poteva finire lì, un Onfino non si arrende mai! Ragionavamo sul da farsi quando Nino Morisco lanciò una sua idea, che ci sembrò a dir poco azzardata, ma che alla fine condividemmo.
Andammo in camerata a cambiarci e indossammo la divisa da libera uscita. Ci inquadrammo e con Nino che faceva da caposquadra, marciammo ben inquadrati verso il corpo di guardia.
Ma un grosso ostacolo ben presto ci si materializzò lungo il percorso. Davanti a noi, facevano una passeggiata il Colonnello Torazzi e il Capitano Marchetti che, proseguendo nella nostra marcia, avremmo inevitabilmente dovuto incontrare.
Dopo un primo momento d’indecisione, il caposquadra disse: Tranquilli! Andiamo avanti. Anche se col patema d’animo, continuammo nella nostra marcia. <<Unò dué, unò dué, passooo!>>
Quando passammo di fianco ai due Ufficiali, Nino ordinò: <<Attenti-a … sinist!>>. Il Colonnello Torazzi rispose impettito al saluto e rimase sull’attenti con la mano alla visiera fin quando non lo oltrepassammo ed il caposquadra comandò:
<<Fissiiii!>>
Sul viso del Colonnello Torazzi, verso cui eravamo rivolti nel nostro “attenti-a”, avevamo potuto vedere un sorriso che esprimeva tutto il suo alto apprezzamento. Rivolse al Capitano Marchetti uno sguardo compiaciuto come a dire:
<<Però … che ragazzi in gamba!>>
Quello che ci si era presentato come un ostacolo insormontabile al nostro ardito progetto, alla fine si era rivelato un grosso punto a favore. Con le gambe che continuavano a tremare per l’adrenalina accumulata, proseguimmo la nostra marcia fino al corpo di guardia dove il piantone, che aveva seguito la scena dell’”attenti-a”, quando Nino con un cenno della mano gli segnalò di aprire il cancello, non ebbe nulla da obiettare. Mentre veniva spalancato il cancello e noi sempre inquadrati guadagnavamo l’uscita, a Marchetti, a cui qualcosa non quadrava di quelle facce, tornò improvvisamente alla mente chi eravamo, la fuga dal cancello di Fezzano, il bagno a Panigaglia: <<Sono i puniti! Fermi!>> esclamò, ma era ormai troppo tardi. Appena fuori dal cancello, la squadra, come una nuvoletta spazzata dal vento, si dileguò e non s’ebbe modo di fermare alcuno.
Sapevamo bene che al rientro avremmo dovuto pagare pesantemente la nostra bravata, ma lasciatecelo dire: era stata un capolavoro! Chissà se ce lo avrebbe riconosciuto tale anche Marchetti!
Non fu così. Marchetti non apprezzò la nostra esibizione e neanche il Colonnello Torazzi, che se avesse potuto farlo, avrebbe di sicuro ritirato il suo bel saluto alla squadra. Il racconto finisce qui.
Non prima però di informare il lettore delle conseguenze a cui andò incontro quell'”Impavida Squadriglia”. Anziché un encomio solenne che sarebbe stato il giusto riconoscimento per cotanta ardita impresa, tutta la squadra fu consegnata in campo per ben due domeniche e Nino, ideatore e condottiero dell’onfiniana “Beffa di Buccari” oltre alla consegna si fece anche tre notti in cella.
Molti anni dopo, in tempi recenti, in un film si è visto un episodio simile. Ci hanno copiato!