È Luigi POLIDORI che racconta … (in rima)
Se ripenso agli anni andati,
dai sessanta e più passati,
la mia mente si confonde
come naufrago tra l’onde.
Ma, ci sono degli eventi
sempre vivi nelle menti,
che il tempo non sbiadisce
anzi, più rinvigorisce.
Ho, di un giorno assai lontano
il ricordo ancor sovrano,
sempre viva è in me la scena
dell’ingresso al “Maddalena”.
Una splendida giornata,
come a dire: un’ottobrata!
Che però non apprezzavo,
c’era altro a cui pensavo.
Arrivammo in “topolino”
io, la mamma e zio Pietrino
su, per Via di S. Marta
una strada stretta e storta.
Dal cancello principale
s’accedeva al gran piazzale
e, dall’ampia gradinata,
all’androne con vetrata.
Ciò che io notai perplesso,
ancor prima dell’ingresso,
fu un campetto con due reti
entro cui c’eran dei preti
che, reggendo il tonacone,
rincorrevano un pallone.
Ebbi un dubbio molto serio:
son finito in seminario!
Ma, salito lo scalone
ed entrato nell’androne,
il mio dubbio fu fugato
da un ritratto incorniciato.
Come a vigilar la scena
v’era Umberto Maddalena,
ad accoglier con calore
questo figlio d’aviatore.
Poi, divise in blu-aviazione
richiamaron l’attenzione,
ci indicaron dove andare
e ciò ch’era da fare.
V’era un ampio corridoio
che portava al parlatorio
ove accolti e registrati
eran tutti gli arrivati.
Fatta la registrazione
fui inviato a vestizione,
dove le guardarobiere
mi vestirono da Aviere.
L’uniforme mi garbava!
Sì, perché mi ricordava
il ritratto incorniciato
dalla mamma venerato.
Ritornai quindi da mamma
e fu lì che iniziò il dramma.
Andò incontro a quel bimbetto
e lo strinse forte al petto.
Una lacrima scendeva
e un pensiero l’assaliva:
“Si può dir ch’è appena nato,
già lo mando a far soldato”.
Pianse mamma e piansi anch’io
ormai prossimi all’addio.
A troncare quei dolori
ci pensò il sergente Coli.
Accusando la mia mamma
d’esser lei causa del dramma,
disse brusco: “Vada via,
e lo lasci in mano mia”.
Così mamma dove’ andare
ma non posso immaginare
l’impressione deprimente
per quel burbero Sergente.
Furon altri e non fu Coli
ch’ebbi come Istitutori,
il Viliani e l’Antonini
se non padri, furon padrini!
Non ricordo che pensai
quando solo io restai.
Pensai forse: “Su, coraggio,
affrontiamo questo viaggio”.
C’era tutto da imparare,
anche il gergo militare.
Inquadrarsi, andare al passo,
“Sull’attenti! … Ti sei mosso!”.
Fare il cubo la mattina:
ma perché questa manfrina
se poi, quando vado a letto,
a disfarlo son costretto?
Qui non c’era la mia mamma,
né la zia e nemmen la nonna:
tutta un’altra compagnia,
non com’era a casa mia.
Fu un po’ dura la “gavetta” (1),
poi, tornai dalla Ninetta (2).
Primo viaggio in solitario,
ma non, certo, fu un calvario.
La divisa in “cordellino” (3),
sulla spalla il “formaggino” (4),
così appaio alla Ninetta
che alla “CAT” (5) da tempo aspetta.
Elegante è la divisa,
da esibir persino in chiesa!
Prima che tu torni via
voglio una fotografia.
Per la foto dell’Onfino,
mi portò da Celestino (6),
così fui per qualche mese
“in vetrina” al mio paese.
(1) fare la gavetta: lungo periodo di addestramento
(2) Ninetta: così chiamata mamma Anna
(3) cordellino: tessuto diagonale per divise
(4) formaggino: fregio triangolare dell’istituto cucito sulla manica sinistra della giacca e del cappotto
(5) CAT: la fermata dell’autobus della omonima società di trasporti
(6) Celestino: il fotografo del paese