È Luigi POLIDORI che racconta …
Gli scherzi in camerata erano una consuetudine dalla quale nessuno poteva considerarsi immune.
A chi di noi non è capitato almeno una volta di infilarsi nel letto e non riuscire ad entrarci?
Avevi rifatto con cura la branda e poi prima di infilarti sotto le lenzuola, con spazzolino e dentifricio in mano tranquillamente ti eri recato al bagno e gli “amici” avevano avuto tutto il tempo di farti il “sacco”.
Anche il secchio pieno d’acqua, messo in bilico sopra l’anta della porta socchiusa, in modo che quando la spingevi per entrare, il secchio e con lui l’acqua ti cadevano in testa, faceva parte degli “scherzi di camerata”.
Ricordo uno di noi, un bravissimo ragazzo che per sua sfortuna, (dato che non dormiva da solo ma con altri nove in camerata) aveva il sonno pesante, ma talmente pesante che quando dormiva, potevi fargli anche delle domande e lui continuando a dormire ti rispondeva a tono. Praticamente era come sottoporlo alla macchina della verità. Quel carissimo ragazzo era Pierluigi Signorelli, ma per tutti: “Pepo”.
Pepo addormentato, suo malgrado, era un soggetto appetibile anche per scherzi particolarmente elaborati. Più di una volta gli accadde di svegliarsi la mattina nella sua branda, ma non in camerata, bensì nei servizi igienici oppure in fondo al corridoio.
Ricordo che una volta fu trasportata la branda, con lui che dormiva come un angioletto nonostante gli sballottamenti, sino alle docce con il proposito di fargli una doccia in branda, ma siccome tutta la branda dentro la doccia non poteva entrare, si fece entrare solo la parte avanti, in modo che la testa venisse a trovarsi sulla verticale della cipolla. Fu posta molta attenzione nell’aprire di poco la manopola, in modo che cadesse solo una goccia ogni tanto, questo sia per avere il tempo di dileguarci che per bagnarlo il meno possibile. Poi spenta la luce, in modo che svegliandosi al buio, non si raccapezzasse, tutti via in camerata a far finta di dormire. Nonostante l’attenzione, la manopola dell’acqua era stata aperta un po’ troppo perché Pepo anche al buio, aveva fatto presto a raccapezzarsi e con la testa gocciolante era tornato quasi subito in camerata. Non ricordo tutte le male parole che ci rivolse, sicuramente snocciolò nella circostanza, se non tutto, buona parte del suo repertorio; di certo non ci aspettavamo i complimenti per l’ottima riuscita dello scherzo e neanche ringraziamenti per il lavaggio della testa non richiesto.
Non pretendemmo ringraziamenti neanche quando premurosamente gli fu riportata la branda in camerata, rimesso in ordine il letto, aiutato ad asciugarsi ben bene i capelli e rimboccate le coperte. Non dimostrò di apprezzare tutte quelle insolite gentilezze anzi, s’infilò a letto senza dire nemmeno “buona notte”. Ma noi da “bravi” compagni di camerata scusammo il suo scontroso comportamento.
Poi ci fu la volta che lo scherzo degenerò e di cui dovemmo pentirci amaramente. Fu quando ci venne in mente di mettere in atto “la bicicletta”. Consisteva in un foglietto di carta arrotolata come una sigaretta, da inserire tra due dita del piede del dormiente, eppoi dare fuoco all’estremità. Alcuni tentativi non andarono a buon fine, perché il prescelto si svegliò appena tentammo di scoprirgli il piede o quando, scoperto il piede, provammo ad inserire tra le dita il rotolino di carta.
Dopo tanti fallimenti, anziché desistere, come sarebbe stato bene fare, continuammo nel nostro proposito ed infine, con Augusto Di Pasquale la diabolica impresa riuscì. Il termine “bicicletta” è dovuto al fatto che avvertendo al piede qualcosa di estraneo e per giunta che scotta, viene istintivo di “pedalare” per liberarsene.
Mettere in atto la bicicletta sul piede di Augusto, fu più facile di quanto ci aspettassimo, spostò leggermente il piede al primo tentativo di allargargli le dita per inserirvi il rotolino di carta, ma continuò a dormire ed il secondo tentativo andò a buon fine. Infilata bene tra le dita, la carta venne accesa in modo da non fare la fiamma, ma consumarsi piano piano come una sigaretta; quindi, ciascuno andò velocemente in branda certi che il risveglio sarebbe stato molto rapido.
Ma non fu così, Augusto dopo poco cominciò a muovere il piede: pedalava, … pedalava, … ma non si svegliava. Ci raccontò poi, che stava facendo un sogno e il calore che sentiva al piede era entrato a far parte del sogno. Quando finalmente si svegliò, la parte accesa del rotolino di carta aveva raggiunto le dita ustionandole. Anche se non avremmo mai voluto fargli del male, in quell’occasione l’avevamo combinata proprio grossa!
Passò del tempo prima che Augusto potesse rimettersi la scarpa. Eravamo in prossimità delle vacanze di Natale e lui fu costretto, per colpa nostra, a passarle in collegio. Ricordo che, quando partimmo, lui venne pure a salutarci.
Nonostante quello che gli avevamo combinato, non ci serbava alcun rancore.