È Luigi POLIDORI che racconta …
Le evasioni serali dall’”uscita di servizio” avvenivano con una certa frequenza, probabilmente complice la benevolenza di alcuni Istitutori che chiudevano un occhio specie con i più grandi.
L’”uscita di servizio” era un buco nella rete al termine della recinzione, nel punto che lambiva il mare e che ci separava dal porticciolo di Cadimare.
La zona era buia, e ciò era un vantaggio per non essere in vista ma dovevi fare molta attenzione perché la recinzione, proprio nel punto dove era stata opportunamente allargata per consentire il passaggio, finiva direttamente in mare e se non stavi più che attento ti ritrovavi con i piedi in acqua. Più scomoda invece era l’altra “uscita di servizio” per Fezzano (la parte alta lungo la strada litoranea), c’era da scavalcare l’alto muro di cinta e se non avevi un amico che ti faceva da punto di appoggio, arrivare al foro nella rete non era facile; pertanto, le uscite serali avvenivano quasi tutte verso Cadimare.
Erano di breve durata, il tempo di prendere un gelato o un caffè, o semplicemente di fare due passi per poi rientrare, ovviamente, sempre dalla porta di servizio! Una sera, i tre protagonisti della storia, ovvero il sottoscritto, Franco Fargnoli e Alberto Pintauro, uscirono dal solito passaggio senza un programma ben preciso, in paese c’era veramente poco da fare, ma non avevano voglia di rientrare ed ebbero la brillante idea di andare fino a Marola.
Arrivati lì, non ancora paghi della scarpinata, continuarono ad andare avanti. Cammina, cammina, … come Cappuccetto Rosso nel bosco, arrivarono fino allo Stadio Picco, in Viale Fieschi, ma non certo per andare a trovare la nonnina!
Viale Fieschi, non so se lo è ancora oggi, ma allora era famosa perché proprio nel tratto a fianco allo stadio svolgevano la loro professione le “passeggiatrici”. Non ci aveva spinti fin lì il desiderio della loro compagnia! Ciò che ci aveva spinti era la curiosità di vederle da vicino al lavoro, e magari perché no, scambiare con loro anche qualche parola.
Quella sera forse avevano fatto sciopero, o più probabilmente, erano già tutte al lavoro, perché non se ne vide nemmeno l’ombra. Avevamo fatto una scarpinata di ben quattro chilometri, ed ora il pensiero di doverla fare a ritroso, non ci rallegrava.
<<Io direi di tornare indietro con il filobus.>> Disse Alberto.
Fu la decisione concorde, ma non sapevamo quando sarebbe passato il filobus, anche perché si era fatto tardi e dopo una cert’ora le corse diradavano; quindi, nell’attesa pensammo bene di provare a fare l’autostop. Chissà, vedendo questi tre ragazzetti in divisa, qualche anima buona, forse poteva muoversi a compassione e darci un passaggio.
Non era stata una speranza mal posta. Le persone gentili e ben disposte verso chi ha bisogno non erano ancora andate tutte a letto, per nostra fortuna almeno una era ancora in circolazione. È questo ciò che pensammo, quando, dopo alcuni tentativi andati a vuoto, al nostro cenno con la mano chiusa ed il pollice teso, un’auto mise la freccia a destra ed iniziò a rallentare.
<<Che colpo di fortuna!>> Disse Franco.
Veramente non usò il termine “fortuna” ma un altro, che però vuol dire la stessa cosa. La macchina si fermò e noi, speranzosi, ci affrettammo a raggiungerla. Franco fu il primo a raggiungere l’auto; il conducente, che seduto a sinistra non poteva essere visto in faccia, allungò il braccio dalla parte del passeggero per aprire il finestrino, ancora non c’erano le macchine con alzacristalli elettrici.
<<Dove dovete andare?>> Chiese quella gentile persona che era al volante. Franco si avvicinò al finestrino aperto e disse: <<A Cadim … >> ma la parola gli morì in gola.
La persona “gentile e ben disposta” alla guida dell’auto era il Sottotenente Dante Pongiluppi, che fu bel felice di darci l’insperato passaggio.
Non dovemmo nemmeno rientrare dal nostro “ingresso privato”. Rientrammo dal cancello principale e il Sottufficiale di servizio al corpo di guardia ci fece pure il saluto.
Ma che idea del cavolo avevamo avuta!
Eravamo piuttosto stanchi per la camminata, non avevamo visto neanche una “donnina” e per giunta, come Cappuccetto Rosso, eravamo finiti nelle fauci del lupo cattivo, anzi, di “Lupino”, come era da noi chiamato il Sottotenente Pongiluppi. Non ricordo quale punizione ci diede, quasi sicuramente ci fece saltare qualche turno di libera uscita, perché era quella la cosa a cui tenevamo di più.