È Paolo GIARETTA che racconta …
Non so da chi, né quando, né come la mamma fosse venuta a conoscenza della possibilità di farci (parlo della mia persona e di mio fratello Giancarlo) proseguire gli studi presso istituti aeronautici per orfani degli aviatori (?!).
Come migliaia di altri bambini eravamo cresciuti in un caldo e accogliente ambiente familiare, inteso come famiglia allargata, com’era d’uso abbastanza frequente all’epoca. Una famiglia composta dal severo nonno Francesco, dalla paziente e dolcissima nonna Tilde, dalla simpatica
e generosa zia Bruna, sorella di nostra madre, dalla figlia di lei la cuginetta (quasi sorella) Loretta, immancabile e instancabile compagna di giochi, e da noi tre. Salta agli occhi l’assenza delle due figure paterne, sostituite, nei limiti del possibile dal nonno e, con una certa regolare e generosa partecipazione, dal fratello della mamma, lo zio Mario. Possiamo dire che non ci è mancato nulla di essenziale, certo avevamo ben poche pretese, non era difficile, all’epoca non c’era da competere con nessuno dal punto di vista del benessere, avvolti com’eravamo da una caratteristica era tipica di molti: una dignitosa e diffusa ristrettezza di mezzi e di comodità.
Il nostro mondo allargato era la scuola elementare Giacomo Zanella di Porta Padova che frequentavamo con ottimo profitto; erano le botteghe sotto casa dove la mamma faceva la spesa (nota … saldo a fine mese), era l’osteria “Da Mario” (vicino al passaggio a livello) dove il nonno comprava il vino sfuso. Le nostre grandi festività, compresi i compleanni erano di una semplicità commovente, pochi, semplici e poveri regali, ci bastava molto poco …
I giorni che precedettero la partenza, nel lontano autunno del 1957, furono caratterizzati da una strana e complice attività casalinga. Gli adulti di casa nostra esitavano con cura di usare il termine collegio, una vera minaccia frequente per gli studenti svogliati: «… se non studi saranno guai! Attento, ti mando in collegio e allora vedrai …».
Era più rassicurante la definizione “istituto” o “associazione” con tutte le possibilità che questa fantomatica organizzazione poteva offrire? Ricordo, per certo, che per farci digerire la novità, questi familiari, giocavano di fantasia la quale, di volta in volta, svolazzava su ampie aree verdi e su laghetti di acqua trasparente solcate da piccole barche a vela, oppure su parchi gioco avveniristici, una specie di Disneyland “ante litteram”, forniti di varie attrezzature ginnico/ludiche e nei quali i bimbi (si, esatto, i collegiali) potevano spostarsi a loro piacimento con auto e moto elettriche a loro misura (il nostro irraggiungibile sogno!!). Insomma tutto faceva comodo per contenere la sofferenza e distrarci da un futuro angoscioso distacco.
Ma non erano allegri o vivaci gli occhi della mamma quel giorno quando si affannava a preparare due grosse valigie di cartone nelle quali porre accuratamente piegati gli indumenti debitamente catalogati e numerati (il mio numero: 29, quello di Giancarlo: 36) secondo una tabella fornita dall’istituto “Francesco Baracca”.
Erano sfuggenti e umidi anche gli occhi dei nonni e della zia, era un’espressione tra il preoccupato e il malinconico quello della cuginetta Loretta che forse aveva intuito qualcosa.
Ma noi, assolutamente inconsapevoli, pensavamo a tutt’altro. Doveva andare così …
Probabilmente non era il paradiso dei bimbi quello che ci attendeva, ma parafrasando il grande santo del ‘200 (Francesco), quello che (all’inizio) poteva sembrarci amaro sarebbe divenuto col tempo dolce, o quantomeno piacevolmente necessario.
…. continua … con “Il viaggio”