È Raffaele SCAPINELLI che racconta …
(tratto da “C’era una volta … in collegio”)
L’alimentazione era buona e non si soffriva la fame, anche se l’appetito era tanto. I due pasti principali ci venivano serviti da “famigli” in giacca e guanti bianchi, in un’ampia mensa a piano terra, su tavoli di vetro. Sui muri, oltre ad affreschi in stile moderno, nella parte alta erano in bella mostra frasi del Duce, tipo È l’aratro che traccia il solco, la spada che lo difende, Non sprecate il pane, sudore della fronte. A merenda un panino. L’infermeria, ubicata nell’attigua villa settecentesca, prima sede dell’Istituto e in quel periodo ancora ospitante la Direzione, era di solito poco affollata. Eravamo però sottoposti a periodiche visite mediche. In occasione di una di queste, uno specialista otorinolaringoiatra mi incluse nella lista di coloro che dovevano essere sottoposti a tonsillectomia.
Non avevo mai sofferto di mal di gola, ma non avevo certo la possibilità di ribellarmi. Mia mamma, che abitava a Reggio Emilia con le mie tre sorelle più piccole (di cui la maggiore sarebbe diventata “baracchini” a Loreto nel tardo dopoguerra) fu avvertita dal Direttore T. Col. Rossi in ritardo, quando non era per lei più possibile raggiungere Gorizia. Il problema non fu l’operazione ma l’anestesia generale, che a quell’epoca era attuata con l’etere solforico. Per obbligarmi a respirarlo fui messo in grembo ad una robusta infermiera, incaricata di bloccarmi saldamente manie gambe. Temetti di morire asfissiato, la sensazione era quella; cercavo di non inalare, sicché il sonno tardò ad arrivare. Tanti buoni gelati furono il miglior rimedio al dolore post-operatorio.
Com’è ovvio, nella vita di Collegio c’erano anche molti momenti belli, di puro svago, ed occasioni di gioia, che mitigavano in noi allievi più piccoli la nostalgia di casa. Bastava poco per divertirci ed entusiasmarci (ore di ricreazione interna o nel parco, scherzi tra amici, gite guidate, visite a monumenti, amichevoli di pallavolo, cinematografo, eccetera). I film più belli, come Luciano Serra pilota, Giarabub e Dagli Appennini alle Ande, li abbiamo visti in città, in occasione delle consuete libere uscite domenicali. Per il percorso di quasi 4 km avevamo per lo più a disposizione un autobus, raramente si andava a piedi.D’estate eravamo accompagnati in autobus A.M. alla bella spiaggia di Sistiana, a est di Duino, e successivamente venivamo ospitati per qualche tempo nella sede montana di Monguelfo, in Val Pusteria. Questa era la base di partenza per entusiasmanti escursioni, talora in bicicletta e con pranzo al sacco. Le mète più gettonate erano il lago di Braies e le tre Cime di Lavarello. Si arrivava al rifugio ansimanti. Com’è ovvio, nella vita di Collegio c’erano anche molti momenti belli, di puro svago, ed occasioni di gioia, che mitigavano in noi allievi più piccoli la nostalgia di casa. Bastava poco per divertirci ed entusiasmarci (ore di ricreazione interna o nel parco, scherzi tra amici, gite guidate, visite a monumenti, amichevoli di pallavolo, cinematografo, eccetera). I film più belli, come Luciano Serra pilota, Giarabub e Dagli Appennini alle Ande, li abbiamo visti in città, in occasione delle consuete libere uscite domenicali. Per il percorso di quasi 4 km avevamo per lo più a disposizione un autobus, raramente si andava a piedi.D’estate eravamo accompagnati in autobus A.M. alla bella spiaggia di Sistiana, a est di Duino, e successivamente venivamo ospitati per qualche tempo nella sede montana di Monguelfo, in Val Pusteria. Questa era la base di partenza per entusiasmanti escursioni, talora in bicicletta e con pranzo al sacco. Le mète più gettonate erano il lago di Braies e le tre Cime di Lavarello. Si arrivava al rifugio ansimanti.
Due-tre volte l’anno potevamo fruire di una licenza, per riunirci alle rispettive famiglie. A me e mio fratello, rispettivamente di dieci e dodici anni di età, la nostra casa sembrava terribilmente lontana, mentre in realtà la distanza non superava i 350 km, percorribili in 4 o 5 ore di treno. Non era disponibile il telefono e nei lunghi periodi di separazione ci si affidava pertanto alle lettere o alle cartoline postali (quelle da 30 centesimi con prestampato il francobollo raffigurante la faccia baffuta di Re Vittorio Emanuele III). L’attesa della posta era sempre tanta, anche perché le lettere spesso veicolavano qualche piccolo regalo, come mentine e piccoli tronchetti di liquirizia.
Il momento più toccante della giornata in Collegio era quello che alle ore 21 dava inizio al riposo notturno, nelle spaziose camerate che accoglievano, al primo piano, gli allievi delle varie squadre con i rispettivi istitutori. Era il momento del “silenzio”, suonato ogni sera con la tromba da un bravo aviere, nel corridoio attiguo. Dotati di una lunga camicia da notte d’ordinanza, ci addormentavamo in pochi minuti, tranquillizzati da quel suono melodioso ed ovattato e confortati dalla luce azzurra soffusa.
Innocenti scherzi disturbavano talvolta la quiete delle camerate, generando un certo trambusto e soffocate imprecazioni: tra i più frequenti, il cosiddetto “sacco” (che impediva alla vittima di introdursi nel letto) e la disseminazione dì briciole di pane secco tra le lenzuola. Non era risparmiato dagli scherzi neppure l’istitutore, visto che il suo letto era isolato dai nostri solamente da semplici tendaggi.
Tra le ultime foto di gruppo meritano menzione quelle che ci ritraggono splendidamente inquadrati da Vespignani, in divisa da parata, sull’attenti, il 28 marzo 1943 all’Aeroporto di Furbara (Roma) mentre Mussolini, dopo un breve, vibrante discorso per il ventennale dell’Aeronautica, passa in rassegna noi allievi O.N.F.A. di Gorizia assieme a numerosi piloti.
Gli allievi ospitati nel “Maddalena” fino all’armistizio del settembre 1943 sono oggi “diversamente giovani”, ultraottantenni Li riunisce il Club ex allievi. Il 20 maggio 2011 abbiamo voluto ritornare a San Pietro di Gorizia, ora Slovenia, per rivedere il “nostro” Collegio: che amarezza! L’originale struttura è quasi irriconoscibile, fatiscente all’esterno e suddivisa all’interno in mille vani adibiti a disordinato deposito di materiali vari, a laboratori ed ambulatori, caotici anch’essi, dipendenza di un ospedale dalle tinte rosa e verde pisello, costruito in fondo all’ex parco. Solo la lana di vetro alle finestre ci ha permesso di individuare la vecchia palestra. Dell’ampio piazzale, privato del pennone, restano misere tracce, occupato com’è da baracche, piante sparse, cespugli, erbacce. Un po’ come le rovine incaiche in Perù. Per fortuna non sono andati perduti i valori che quel grande ed indimenticabile Istituto ha dispensato. Grazie dunque a tutto ciò che, di positivo, quel passato ci ha trasmesso… marce a parte!